Regia di Ry Russo-Young vedi scheda film
Martine (Olivia Thirlby) è una giovane fotografa e film-maker sperimentale che, con in valigia le sue ultime riprese in bianco e nero sul mondo degli insetti, si reca nella villa del tecnico del suono Peter (John Krasinski) , per vedere di costruire insieme il sonoro del film. Nella casa di Peter, oltre al suo assistente David, vivono la moglie Julie (Rosemarie DeWitt), la figlia di questa Kolt (India Ennenga) avuta in prime nozze con Leroy (Dylan McDermott) e loro figlioletto Dusty. A frequentarla spesso si trova anche un paziente di Julie (psicologa): l’attore Billy (Justin Kirk), con vaghe ossessioni di tipo relazional/sessuale che non mancherà di riversare sulla sua stessa terapeuta. L’arrivo di Martine porterà una serie di scompensi in tutto l’ambiente: di lei rimarranno infatuati sia Peter che David (quest’ultimo segretamente amato dall’adolescente poetessa in erba Kolt, a sua volta agognata da Avi, un compagno di scuola sempliciotto e un po’ imbranato), e le idee non troppo chiare di Martine su come impostare i rapporti interpersonali finiranno per mandare in confusione un pochino tutti.
Presentato al Sundance 2011 dove ha ottenuto il premio speciale della giuria, questo film, dotato di un cast per nulla entusiasmante (Olivia Thirlby con tutti i suoi “ehmm” e “uhmm” è piuttosto insopportabile, Krasinsky è il classico attore di legno, mentre l’algida DeWitt è il solito merluzzo surgelato tolto dal freezer troppo tardi prima dei ciack) si sforza di frugare tra le pieghe della mente dei suoi personaggi, le loro debolezze e le loro mancanze, sia là dove le lacune sono di per sé evidenti, sia dove in apparenza regnerebbero personalità solide e ben definite. Ma il climax generale è piuttosto deludente, per niente empatico e meno ancora simpatico, asettico e distaccato quando non addirittura astruso (come nel caso di un personaggio collaterale, un tutore italiano di Kolt che le insegna la lingua, la cui presenza, oltre che assolutamente inspiegabile, risulta per noi italiani del tutto stucchevole, data la stereotipizzazione con cui viene offerto come classico mediterraneo bruno-macho-volgarotto-che-puzza-pure-un-po’), e dove si salvano, a mio avviso, solo alcuni momenti specifici: le scene del documentario sugli insetti, quelle che riguardano la ricerca dei suoni con l’uso del microfono direzionale, e soprattutto quelli in cui emerge la poesia della giovanissima Kolt (non a caso la giovane e promettente India Ennenga è quella che esce meglio di tutti da questo lavoro), punteggiati da un buon commento musicale (altra cosa da salvare). Poca roba: per il resto è tutto abbastanza noioso e poco stimolante. Un’occhiata fugace tanto per provare a capire cosa ci hanno trovato al Sundance, e poi via. Un sei meno meno, molto stiracchiato.
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