Regia di Benh Zeitlin vedi scheda film
Non riuscirò mai a capire le ragioni che spingono una parte della critica a certe forme di snobismo da talebani. Negli anni dieci si sono aggiudicati premi importantissimi film come Lo Zio Boonmee che si ricorda delle sue vite precedenti, The tree of life e Faust. Adesso arriva questo Re della terra selvaggia (molto più fedele il titolo originale, Beasts of the Southern Wild) a chiudere il poker di film senza capo né coda, estetizzanti, nei quali la trama conta meno di zero. Il mensile Ciak lo indica come il "colpo di fulmine" del mese; il settimanale FilmTv scrive che "sazia gli occhi e fa detonare la mente". C'è da scommettere che il solito intelligentone di turno non potrà fare a meno di scomodare Joyce per dire che la trama è una cosa sorpassata e che quelli come me ovviamente non capiscono nulla e non sanno apprezzare l'arte. Vabbè.
La terra selvaggia del titolo è una zona paludosa della Luisiana, nel Sud degli States, ma potremmo essere nell'Africa subsahariana come in Oceania. La piccola Hushpuppy (Wallis) non fa che combinare guai (brucia la casa, stende il padre con un pugno, provoca un'esplosione) e sentenziare come nemmeno Pio XII ai tempi d'oro. Il tenore dei suoi apoftegmi, tanto per capirci, è del tipo "quando si è piccoli bisogna imparare a riparare tante cose" oppure "gli animali forti non avranno pietà". Ora, a parte che non sarebbe un danno per nessuno se le sceneggiature le scrivessero persone che hanno conseguito almeno la licenza elementare, non si capisce proprio dove voglia andare a parare il film. Cos'è? Un apologo ecologista che, attraverso lo sguardo della piccola quanto irritante protagonista (il doppiaggio italiano, poi peggiora ulteriormente le cose, affidandole un'insopportabile voce frignante), manda messaggi sullo scioglimento dei ghiacciai e sul famoso battito d'ali di una farfalla a occidente, capace di provocare un cataclisma dall'altra parte del globo? Un film fantasy con tanto di creature preistoriche simili a giganteschi maiali zannuti sul tema della perdita della propria madre? Il punto di vista di una piccola disadattata affidata a un padre alcolista, prima e dopo l'arrivo dell'uragano Katrina? Una docufiction di taglio antropologico per mostrarci la vita semplice e felice di quel mondo a parte chiamato "la grande vasca"? O forse niente di tutto questo. Un giorno, forse, cos'è questo film me lo spiegheranno quegli intelligentoni che su un'opera così destrutturata e fiabesca ci si tuffano con l'orgoglio indomabile di chi si dà di gomito col vicino di poltrona sentendosi parte di quel popolo eletto che sul comodino tiene sempre David Foster Wallace, Ionesco ed Eliot.
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