Regia di Ernst Lubitsch vedi scheda film
Sontuoso lavoro che Lubitsch accettò obtorto collo, ma che condusse in porto con la consueta maestria. Certo, nella sceneggiatura manca qualsiasi riferimento alla politica dell'epoca, così come un inquadramento storico delle vicende personali della sfortunata Anna (sfortunata come tutte le prime cinque donne che ebbero la sventura di sposare quell'omaccio di Enrico VIII d'Inghilterra). Ciò è abbastanza grave, se si considera che proprio Anna Bolena ed il suo seguito portarono alla corte di Londra idee di derivazione protestante, quando il sovrano inglese si era sempre distinto tra i difensori della fede cattolica, di fronte alle tesi propugnate dai luterani. Del resto, poco o niente si dice sulla prima moglie (che pure compare tra i personaggi del film), Caterina d'Aragona, di sei anni più vecchia del re, nonché vedova del figlio maggiore di Enrico VII e fratello di Enrico VIII, Arturo, morto sedicenne nel 1502. Non si dice che Caterina aveva generato cinque figli, dei quali solo Maria (la futura regina, soprannominata dai sudditi anglicani Maria la Sanguinaria) era sopravvissuta né che intorno al 1530, quando scoppiò la controversia con il papa sul divorzio, Caterina quarantacinquenne, non era più in età di rimanere incinta un'altra volta. Il film non si dilunga molto neanche sulle controversie con il papato (non mi dimentico che il film, in fondo, dovrebbe essere incentrato sulla sola Anna Bolena), risolvendo la fondazione della Chiesa d'Inghilterra in un atto d'impeto del sovrano britannico. Peraltro, alla fine, si glissa un po' troppo anche sul processo alla stessa protagonista e si trasforma il musico di corte Mark Smeaton in una sorta di Iago della situazione. Il meglio del film sta, secondo me, nel famoso "tocco" del regista, che si esplica in alcune notazioni tutt'altro che banali, come nello sbertucciamento dei versi tronfi dello stesso poetastro d'occasione Smeaton, giustamente dileggiati dal buffone di corte (uno dei personaggi cui vanno le maggiori simpatie di Lubitsch, per la qualità del giullare di dire sempre ciò che pensa a costo di buscarsi le frustate del re). Ma anche lo zotico Enrico Tudor - ottimamente interpretato da Emil Jannings - si merita diverse punture da parte del regista, che lo descrive come un crapulone e ce lo mostra mentre si getta in un cespuglio, nel quale Anna Bolena sta cercando la pallina del gioco con le racchette, con le stesse movenze di un cinghiale.
Viene descritta come un'attrice giunonica e formosa, ma vedendo questo film non si direbbe.
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