Regia di Nicholas Jarecki vedi scheda film
Il sottotitolo introduttivo è: “Sei disposto a rinunciare al potere pur di conservare un ultimo brandello di umanità?” - qui la risposta è un sonoro NO.
C'è una piccola scena all'inizio che mi ha particolarmente colpito e che definisce l'intera “filosofia” di questo film. Il protagonista e la moglie al mattino si stanno vestendo e parlano degli impegni della giornata, e lei dice: “Mi ha chiamato la segreteria dell'annuale festa di beneficenza per l'ospedale pediatrico, è la settimana prossima e non hai ancora mandato il solito assegno. - In effetti in questi giorni abbiamo qualche piccolo problema di liquidità. - Ma dài, in fondo si tratta solo di un milione di dollari!” E' quel “solo” il nocciolo della storia, e quella settimana l'arco di tempo in cui si svolge.
Siamo nel mondo degli schifosamente ricchi: Richard Miller (Richard Gere), alla vigilia del suo 60esimo compleanno, è titolare di una società finanziaria che gestisce fondi d'investimento, piccola ma molto stimata, che ha creato con impegno e dedizione partendo praticamente dal nulla. Ha una moglie (Susan Sarandon) che non dimentica i tempi duri della loro giovinezza e dedica molto tempo ed energie nel sostegno di iniziative benefiche in favore di donne e bambini. Ha due figli, un maschio sognatore e totalmente incompetente circa il mondo della finanza che però l'ha reso nonno orgoglioso di due nipotini e una bella e intelligente figlia (Brit Marling), suo braccio destro sul lavoro: Brooke venera il padre, che considera suo mentore e suo migliore amico, e non riesce a credere alle sue orecchie quando lui le comunica l'intenzione di chiudere tutto, vendere la società ad una grossa banca e ritirarsi. Non sa che il padre ha fatto coi suoi beni personali una speculazione andata male, e per coprire il buco ha usato i fondi affidatigli dai clienti e falsificato i conti: se i bilanci passeranno i controlli la cessione potrà salvarlo dal fallimento. In più vuole ritirarsi non con la moglie ma con l'amante Julie (Laetitia Casta) mediocre e nevrotica pittrice francese che mantiene da qualche tempo: recandosi insieme alla sua casa in montagna hanno un incidente stradale e lei muore. Miller in questo momento non può permettersi uno scandalo, abbandona l'auto in fiamme e cerca aiuto telefonando, prima ancora che al suo avvocato (Stuart Margolin), al giovane Jimmy Grant (Nate Parker):figlio del suo vecchio autista, lo aveva aiutato ad uscire da un brutto giro e perciò gli deve un favore, ed è “l'unico negro che conosce” (cit.). Il detective Bryer (Tim Roth) che indaga sull'incidente non ci mette molto a capire che qualcosa non quadra nella confessione del ragazzo e comincia con Miller un gioco al gatto col topo, un tira e molla che dura per una settimana: finché l'affare con la banca va in porto e per un cavillo legale previsto a tavolino il giovane viene prosciolto e scarcerato, e si porta a casa una ricca liquidazione. Non è successo niente. Non è stato nessuno.
Lo scrittore e sceneggiatore Nicholas Jarecki è alla sua prima regia di lungometraggio; proveniente da una famiglia di finanzieri newyorkesi e per alcuni anni broker lui stesso, attraverso le sue conoscenze personali ha potuto utilizzare ambientazioni importanti e inconsuete. Ha riunito un bel collage di aneddoti che deve aver sentito nel suo ambiente, ma la sceneggiatura non appassiona a causa della prevedibilità dell'intreccio familiar-sentimentale e dell'eccessiva macchinosità della parte legal-thriller. Intriso di populismo alquanto ipocrita, disturba la spruzzata, e niente più, di moralismo all'acqua di rose limitata alla figura della figlia, che quando scopre i maneggi del padre è l'unica a disprezzarlo. Non certo la moglie, disposta a fingere per non rinunciare alla posizione sociale che il marito le garantisce. Non l'avvocato, che ad imbrogliare le carte fa solo il mestiere per cui è pagato. E il poliziotto, che è stufo di vedersi sfuggire ricchi criminali solo grazie ai loro soldi e cerca di andare fino in fondo, fa l'ennesima figura da fesso. Una bella lezione di cinismo, non c'è che dire.
Se questo film non è un novello WALL STREET e il regista/sceneggiatore non ha certo la potenza di Oliver Stone, appena una pallida imitazione di Michael Douglas si riesce a vedere in Richard Gere, che a 63 anni fa finalmente il nonno e non è costretto ad usare il suo fascino sbiadito per incantare gli spettatori, e dipinge in modo abbastanza credibile l'arrogante tycoon a cui il mondo sta crollando addosso. Una bella sorpresa Brit Marling, che oltre al diploma di recitazione vanta una laurea in economia alla Georgetown e 1 anno di lavoro in Goldman-Sachs: nessuno più di lei adatto alla parte della figlia, che recita con grinta e partecipazione. Un po' sprecata Susan Sarandon, penalizzata dalla brevità della parte e dall'immagine più petulante che indignata che l'autore le ha assegnato. Lo stesso vale per Tim Roth, che come al solito gigioneggia, in un personaggio inconsistente e per niente approfondito. Laetitia Casta appare invecchiata e appesantita, ma ha una parte minuscola e non se ne accorge nessuno. Curiosa la partecipazione, nei panni del banchiere che acquisirà la società, di Graydon Carter, direttore prima del NEW YORK OBSERVER e dal '92 di VANITY FAIR, autore negli anni di molti articoli sulla crisi economica che in parte hanno ispirato la sceneggiatura. E poi c'è New York, qui magnificamente fotografata dal francese Yorick Le Saux (collaboratore di fiducia di Olivier Assayas, ha ripreso anche la mini-serie CARLOS) la cui immagine nemmeno il più incapace degli scenografi riuscirebbe a rovinare.
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