Ecco un film che non varrebbe lo sforzo di una recensione, ma sul quale scelgo di soffermarmi perché contiene elementi che illustrano alcuni motivi per cui il cinema italiano, da troppi anni a questa parte e fatte le solite debite eccezioni, annaspa. Un soggetto, non originale ma pur sempre delicato e drammatico come quello della condizione della donna nell’Italia meridionale degli anni ’50 - ’60 viene sprecato da una regia insipida, una recitazione di livello infimo, una sceneggiatura scontata che il malcapitato spettatore anticipa scena dopo scena. L’unico aspetto salvabile sarebbe lo scenario paesaggistico in cui è ambientata la vicenda: una non specificata località meridionale che si affaccia su un mare da capogiro. Siamo presumibilmente in Calabria o giù di lì. Non saranno però i dialoghi ad aiutare le spettatore nell’ubicare l’azione. Alcuni interpreti si esprimono con accento marcatamente siciliano, altri con inflessione napoletana, qua e là si sente aria di Basilicata, Puglia, ecc. ecc... Un cocktail senza capo né coda. Aggiungiamo la prevedibilità di ogni singola sequenza, il manicheismo quasi infantile con cui sono tratteggiati “buoni” e “cattivi” e la sbobba è servita. Come è potuto approdare nelle sale questo indigesto minestrone, degno dei peggiori prodotti televisivi della domenica sera e, ahinoi, finanziato con denaro pubblico?
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