Regia di Giuseppe Bonito vedi scheda film
Pulce non c'è... non c'è per chi si aspetta che ci sia “normalmente”. Non parla, non si spiega, non lascia capire i suoi bisogni... Le persone che la amano hanno imparato a comprendere i segnali che lei manda e riescono così a conviverci da 8 anni.
Pulce è il soprannome di Margherita, una bambina di 8 anni affetta da autismo. Con lei vivono la mamma, il padre e la sorella tredicenne Giovanna. E' Giovanna che ci racconta questa delicata storia familiare, di affetto e paura. Affetto per questa sorellina speciale e paura di di perderla per via di una denuncia da parte delle autorità scolastiche.
Una denuncia terribile, che accusa il padre di molestie sessuali alle due figlie. La cosa più terribile è che la denuncia parte proprio da Pulce, che da poco tempo utilizza la pratica della “comunicazione facilitata”, con la quale si cerca -o meglio si spera- di instaurare un metodo di linguaggio comprensibile con la bambina e il resto del mondo. Purtroppo l'utilizzo sbagliato di questo strumento da parte delle insegnanti porterà ad un allontanamento coatto dalla famiglia per Pulce, e a tutta una serie di vicissitudini legali per i genitori e Giovanna.
Un film piccolo ma importante, tratto dal libro autobiografico di Gaia Raynieri, la vera sorellina di Pulce, Giovanna nel film. La storia sarebbe interessante e utile anche e solo se si fosse soffermata sul semplice racconto di questa famiglia e sulla tribolazione avuta per una denuncia tanto infamante... ma va oltre. In modo molto sottile il film fa riflettere su quanta importanza diamo ad un tipo di comunicazione verbale conforme. Pulce non sa parlare ma ha un suo linguaggio non sempre comprensibile. Quando si forza su di lei l'utilizzo di un metodo di linguaggio letterale accade l'irreparabile, i fragili equilibri costruiti in tanti anni si frantumano, si attribuiscono alla piccola Pulce parole mai dette e sicuramente nemmeno pensate. Pulce perde la sua identità, viene catalogata come “caso pietoso”. Giudici, medici e assistenti sociali si sentono in dovere di “salvarla” da una famiglia che fino ad allora l'aveva protetta e assecondata. “Dall'alto” dei loro studi e delle loro esperienze giudicano Pulce e la sua famiglia, senza prestare a loro un vero ascolto. Il problema non è quindi il “parlare” quanto “l'ascoltare” da parte dei -così detti- esperti.
Non è solo Pulce a non esserci, ma anche Giovanna che rimane alienata ed emarginata dai suoi coetanei perché non veste alla moda, non indossa scarpe giuste. Non c'è nemmeno il padre di Pulce, che da 8 anni è incazzato con il mondo perché l'unico suo diversivo è andare a fare la spesa. Non c'è più nemmeno la madre di Pulce, che si è annullata completamente per seguire la figlia minore, non accorgendosi di quanto stia crescendo intanto la maggiore. Ci sono tutti e quattro quando stanno insieme, nella loro “ragnatela” delicatissima, fatta di mille fili che li tiene tutti uniti.
La comunicazione spesso sta nei piccoli gesti, negli sguardi, nelle attenzioni, solo chi vive con persone speciali come Pulce lo può comprendere, non ci sono libri di testo che lo insegnano.
Ottima l'esordio alla regia di Giuseppe Bonito, che entra nella storia con delicatezza senza mai sforare nel patetico o nella banalità che spesso circondano queste vicende. Il regista ambienta tutto in una Torino appena accennata, che abbraccia in maniera personale i protagonisti. Bella la presenza di una “matta” di quartiere, anche lei utilizza un linguaggio incomprensibile alla maggioranza delle persone, per questo vive isolata e da barbona, anche lei non c'è per chi non la nota con un sorriso.
Ottimo il cast di tutto rispetto: Pippo Del Buono è il padre, Marina Massironi la madre, Ludovica Faldi Pulce, una bravissima Francesca Di Benedetto Giovanna, Piera Degli Esposti la nonna, Alberto Giminiani lo psichiatra della casa famiglia, Giusi Merli la “matta e un caro Giorgio Colangeli in un piccolissimo ruolo del magistrato.
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