Regia di Victor Nieuwenhuijs, Maartje Seyferth vedi scheda film
Un bianco e nero privo di dialoghi, la cui giovane protagonista vive in un mondo distante e silenzioso, ed è immersa in una solitudine popolata di sogni. Le geometrie cittadine sono la scenografia dei suoi pensieri astratti, interpretati da un corpo che insegue ideali ed indefinibili armonie. La sua presenza è la costante espressione corporea di un desiderio: di mangiare, di danzare, di volare, di diventare un’altra. È come se cercasse continuamente di mettersi in sintonia con un ritmo inudibile, posto al di fuori della realtà sensibile, e, soprattutto, al di là della squallida dimensione umana. Questa donna è bellezza di carne, alle prese con un universo fatto di ferro rugginoso e logoro cemento. La sua figura nuda, che intreccia acrobatiche coreografie, suona il piano o gioca a Nim (come il personaggio di X ne L’anno scorso a Marienbad), è il concetto vigile e vitale che si contrappone ad un contesto materiale, pesante, animato da una violenza meccanica e cieca. Ad un certo punto, in seguito all’incontro con un malintenzionato, in lei si insinua la paura, prendendo la forma dei fantasmi della morte e della follia. Dentro di lei iniziano allora a convivere gli spettri bergmaniani di Antonius Block ne Il Settimo Sigillo e di Elisabeth Vogler in Persona, con i loro avversari/alter ego collocati dal lato opposto del tavolo o dall’altra parte dello specchio. Lei, che viveva l’anonima e limpida libertà del giorno, si ritrova così a dover cercare il camuffamento della notte, inventandosi identità sempre nuove, oltre che scomode da indossare, come un abito fuori misura. Il crepuscolo è l’impercettibile linea di confine tra uno spazio aperto e luminoso, in cui si può anche scegliere di essere invisibili, o perfino di essere nessuno, e un vicolo buio, sul quale sia affacciano portoni, cortili, traverse, dentro cui si nasconde un tremendo pericolo. Nell’oscurità cova l’inquietudine di un incubo, e l’atmosfera del centro storico di Amsterdam appare attraversata dalle fiammeggianti pennellate di Van Gogh, che trasformano le ombre in chiazze incandescenti di terrore. Una vena espressionistica riveste questo plastico recital dell’ossessione, in cui la storia è interamente personificata, fatta di performance attoriale, di esibizione mimica, di metamorfosi operata dal trucco e dal costume. Crepuscule è un piccolo teatro del fantastico calato in uno scenario simbolico e minimalista, che però, aprendosi sull’ambiente metropolitano, si interseca col dramma dell’emarginazione sociale e con la tensione del thriller: una densa commistione di generi, che diventa una solida ed incisiva scultura cinematografica.
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