Regia di Alicia Scherson vedi scheda film
Cercare il perturbante dentro il trash, guardare intensamente il reale per allucinarlo, vedere nella mera materia che si degrada qualcosa che abbia a che fare con un sentimento. Coprodotto da Italia, Cile, Germania e Spagna e già presentato al Sundance e a Rotterdam, Il futuro, adattamento di Un romanzetto lumpen di Roberto Bolaño, è un fallimento. Scherson rilegge la citazione di Artaud posta in apertura di romanzo («tutta la scrittura è porcheria. Le persone che escono dal vago per cercar di precisare una qualsiasi cosa di quel che succede nel loro pensiero, sono dei porci») e gira un film antiletterario, fatto di cose che accadono per giustapposizioni ed ellissi, contro ogni organizzazione romanzesca. Così la storia di Bianca, orfana per un incidente, di suo fratello, dei culturisti che un giorno le si stabiliscono in casa e di Maciste, l’attore cieco a cui vende il proprio corpo, è raccontata in una cronaca coscientemente inadatta, incespicante, incapace di governare retroscena, premesse e conseguenze logiche, disinteressata ad addomesticare le sue verità, abiette, abissali, grottesche. Ne esce dunque un film funereo, conforme alle mestizie del cinema della crisi, in cerca dell’imprecisione, dell’angoscia del vago come carattere affettivo: ma le necrosi della regia sono puro stile televisivo, la recitazione è inadeguata sia al realismo sia all’iperrealismo, e dalla terminale visione materialista non scaturisce nulla. Se non inerme sciatteria.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta