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Hansel & Gretel: Cacciatori di streghe

Regia di Tommy Wirkola vedi scheda film

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La recensione su Hansel & Gretel: Cacciatori di streghe

di Enrique
5 stelle

Da tradizione favolistica (nulla a che vedere con quella medievale) le streghe hanno sempre incusso terrore per via del loro aspetto (l’eventuale giovinezza era data da sortilegi malefici e si consumava in fretta), ma, soprattutto, per via della loro “fame”. La fiaba dei fratelli Grimm da cui è stato tratto il film in esame ne è un fulgido esempio. Bene: ma se siffatta secolare tradizione ha avuto un successo indiscutibile e tale da propiziare questo e altri cinematografici “spin-off” in materia di streghe (mi viene anche in mente il ben più decoroso, a mio avviso, I fratelli Grimm e l’incantevole strega) perché non attenervisi alla lettera (o quanto più possibile)? Pensando al make-up sulla bella Famke Janssen (e sulle altre sue “sorelle”), abbastanza convincente, sembrava, infatti, che T.Wirkola avesse scelto di puntare sui canoni della tradizione de qua e invece tutto (e sottolineo “tutto”) il resto fa pensare il contrario. Fa pensare ad una scelta di tutt’altro genere, secondo me, assai discutibile.

In certi momenti emerge un tono un po’ più scanzonato (dollyfc), o smaliziato (ico: addirittura un nudo e qualche parolaccia!), ma il mordente della sceneggiatura rimane prevalentemente attestato al livello dei gusti adolescenziali. Lo script, infatti, privilegia un profilo basso quanto a ritmo e, quel che è peggio, soprattutto quanto a tensione. Tutto è tremendamente “telefonato” largamente in anticipo. Nonostante i denti aguzzi, la lingua delle streghe si dimostra capace di sproloqui patetici e superflui. In certi casi (in questi casi) sono molto più efficaci squartamenti (che, per la verità, qua non mancano, ma lo splatter fine a se stesso non ha mai costituito un valore aggiunto) e morsi rabbiosi (ma quelli - chissà perché: bisognerebbe insediare una commissione d’inchiesta per scoprirlo - sono “tabù”). La procacità di Gemma Arterton (M Valdemar) e il richiamo del semi-divo J.Renner nulla possono contro un tale attacco congiunto di vuoto narrativo e kitsch estetico.

Un’altra tradizione, quella hollywoodiana, tende sempre più spesso a riscrivere gli epiloghi dei primi film in prologhi di possibili (in base al responso del botteghino) sequels e simili. Il fatto che questo film abbia ciecamente preferito quest’ultima tradizione a quella di cui all’inizio del commento, per quanto non colga di sorpresa, è tutto dire sull’evoluzione del percorso intrapreso dai produttori d’oggi (in questo caso, tuttavia, un percorso di successo, se si considera l’ottimo risultato commerciale del film, che preannuncia - inevitabile - il ventilato - ma sospirato? - sequel).

Un percorso - in un modo o nell’altro - sempre più in salita.

 

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