Regia di Mark Tonderai vedi scheda film
Hates è l’acronimo di “House at the end of the street”: lo scopro per la prima volta quando mi reco nella multisala che programma il film, osservando per la prima volta il manifesto che campeggia nella bacheca. L’interesse vago che nutro per la pellicola, che spunta dal nulla con una buona capillarità di distribuzione, tiene certo conto che l’horror è sempre stato da ragazzo uno dei miei generi preferiti, anzi quello che mi ha avvicinato in modo così appassionato alla settima arte. E' per questo dunque che se posso, cerco di tenermi aggiornato sulle sue curiose evoluzioni e correnti. Ma la vera ragione a convincermi ad accedere alla sala risiede quasi esclusivamente nella per nulla scontata partecipazione al film di Jennifer Lawrence, teenagers dalla bellezza sfolgorante, ormai notissima e già premiata con l’Oscar quest’anno e rivelazione abbagliante nel film splendido premiato al TFF 2010 "Un gelido inverno".
Di fatto, assieme all’altra co-protagonista femminile - una Elizabeth Shue piccolina ma ancora bella, la biondina anni ’80 di cui perdevano la testa bulli insopportabili come Tom Cruise nel famigerato inguardabile Cocktail, interprete da sempre ondivaga (riabilitata con il fin troppo acclamato Via da Las Vegas di Mike Figgis) e da oltre un trentennio sempre in bilico per trasformarsi in star (senza poi mai riuscirvi davvero) - Jennifer Lawrence è davvero l’unica ragione valida per affrontare un horrorino neanche indecente, ma completamente succube delle più risapute e prevedibili regole dell’horror, il cui sviluppo procederà pure con le sue sorprese e la sua suspence, ma solo perché in questo contesto gli sceneggiatori possono permettersi il lusso di giocare sulla credulità o la distrazione dello spettatore a cui tutto è dato a bere.
E quindi il solito dispiegarsi di: case infestate da presenze che si nutrono di ricordi di un atroce passato che tuttavia solo alla fine riusciamo davvero (e un po’ forzatamente) a mettere a fuoco; madre e figlia belle, bionde e problematiche, protagoniste di un rapporto familiare che va avanti a singhiozzo tra ripicche e incomprensioni, storia di donne sole ma toste che si trasferiscono ai confini del bosco in uno chalet da sogno che non potrebbero permettersi se non fosse che l’affitto è quasi regalato in virtù del fatto che la villa di cui prendono possesso confina con la casa dell’orrore; un co-protagonista che fa aizzare pruriti adolescenziali e che si guadagna le simpatie di mamma e figlia dopo (troppo) poco, una vicenda che poi a ripensarci gli sceneggiatori ti rigirano a piacimento senza rispetto e lealtà; fruscii nel bosco, immagini sfocate in lontananza, apparizioni improvvise per far sobbalzare lo spettatore e creare un minimo di ritmo ad una vicenda che in verità è troppo ricalcata su migliaia di altri prodotti similari (magari senza attori così celebri e bravi); risoluzioni finali col morto che non è mai morto e risuscita sempre sul più bello come Glen Close dalla vasca di Attrazione fatale (ma laggiù era tutta un’altra storia).
Insomma un film che la Lawrence star ora certamente non rifarebbe più.
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