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Holy Motors

Regia di Leos Carax vedi scheda film

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La recensione su Holy Motors

di EightAndHalf
8 stelle

Tra le migliaia di sequenze geniali che riempiono e addensano la materia infinita del capolavoro di Leos Carax la più incredibile è forse proprio l'immagine iniziale. Chi guarda? Chi sta vedendo il film Holy Motors? Nessuno? I volti degli spettatori sono tutti neri, vuoti, immersi nel buio. Normalmente in una sala cinematografica lo schermo dovrebbe essere acceso, e dunque i volti di tutti gli spettatori dovrebbero essere inondati dalla luce riflessa del proiettore. Perché qui non c'è nessuna luce? Il proiettore è spento, il film non procede? Eppure le immagini ci sono, si sentono, uditivamente, nell'aria, nei rapidi fotogrammi muti che costellano poi tutto il film. Allora cos'è che non va? Se non ci fosse film, ci sarebbe il buio pesto, no? La luce c'è, invece, e viene dalle spalle degli spettatori, manco fosse il fuoco della platoniana allegoria della caverna; proietta ai nostri occhi di spettatori le ombre e le oscure campiture delle sagome, di occhi non vedenti, di sguardi aboliti, di noi stessi. E non è un caso, dunque, che l'inizio di Holy Motors veda un uomo seguito da un cane che penetra in una scenografia e si ritrova dietro quegli stessi spettatori. Che sia lui il film?
A prescindere da queste infinite domande, l'unica cosa certa è questa: Carax si è messo a parlare direttamente con noi. E' chiaro che il film andrebbe visto in sala, perché è proprio lì che si entra più nel labirinto criptico che intesse il regista francese con questo suo ottimo lavoro sperimentale. Spettatore, stai realmente guardando?
Holy Motors è il canto del cigno della percezione, è l'estenuante lotta di una settima arte che da un lato è intessuta nel quotidiano e dall'altro ha reso quello stesso quotidiano folle, irregolare e pazzo. Holy Motors è un saggio di cinema postmoderno che si ritorce su se stesso e si chiede se veramente nasca per essere visto/ascoltato/contemplato. Ed è per questo che continuamente il film si chiede Spettatore, stai guardando? Perché la vista in realtà è cecità, e bisogna stare attenti a quello che si vuole vedere, perché la realtà del film è cangiante e in costante movimento. Allo stesso tempo, però, risulta chiaro che è il fruitore ancora prima dell'oggetto fruito ad essere importante: Spettatore, stai osservando? Perché l'arte continua, anche senza di lui. 
Denis Lavant è l'uno, nessuno, centomila della situazione: si divide in sette o più personaggi, muore almeno quattro volte, resuscita altrettante, cambia sempre punto di vista, per risalire e truccarsi nell'enorme bianca limousine che lo scarrozza qua e là per la città di Parigi. Ma sono luoghi svuotati, privi di spessore: non importa cosa stiamo guardando, ma l'atto stesso del guardare. Spettatore, stai contemplando? 
Talvolta Oscar (Lavant) è una barbona, talvolta è un padre, talvolta è uno zio morente, talvolta è un criminale, talvolta è un pazzo squinternato, ma ogni volta torna ad essere quel manichino che interpreta e demolisce se stesso dentro la limousine - non è un caso che, nella sequenza del palazzo dove si incontra l'altra Attrice, il pavimento ricoperto di plastica sia costellato di manichini rotti. Il suo è un corpo mutaforma che prende possesso dei canoni esistenziali di ogni singolo personaggio che interpreta, con la conseguenza di ritrovarsi sempre estraneo in luoghi diversi, nonostante sappia esattamente cosa fare e lo faccia con inquietante tranquillità, quasi con rigore geometrico. Holy Motors è infatti sotto un certo punto di vista il punto di non ritorno del classico tema dell'incomunicabilità: l'idea che i personaggi del mondo siano creati da questi attori mutaforma dotati di limousine dà l'idea di un'umanità e di una realtà finta, costruita chiaramente sulle illusioni, ma fatta di gente che è sempre altro da sé e non può davvero rispettare se stessa, tanto da essere distante da tutto. Spettatore, ce la stai facendo? 
Che poi quel rigore con cui Oscar si destreggia da un'identità all'altra si trasmuti in strani movimenti deformanti con cui si attorciglia intorno al corpo di un'altra donna irreale fatta di tante lucette psichedeliche, è un altro discorso. O forse è proprio il discorso corretto, quello per cui quella realtà fatta di illusioni, nell'era moderna, ormai lascia il passo alla dimostrazione della sua stessa artificiosità: è tutto finto. E' palese, sta davanti ai nostri occhi. Ma perché è tutto finto? E' davvero quello che stiamo guardando, ad essere impazzito? Spettatore, mi stai prendendo sul serio? 
Nella sequenza in cui Oscar interpreta il pazzo che rapisce la statua Eva Mendes e la porta in dei sotterranei, si chiede ai massimi livelli allo spettatore di osservare ancora, di continuare a cercare di (non) capire. Cosa? Forse che la realtà mostrata si sta deformando da sola, o forse perché ne cogliamo la finzione ed è solo ora che la vediamo folle. Anche qui le ipotesi convergono verso tantissimi punti, tanti quanti quelli che si proiettano sul corpo nero di Oscar e dànno l'idea di un cielo stellato contorsionista. Spettatore, mi stai credendo? 
Il film - volutamente - annaspa. Cerca il suo fruitore sfiorando la disperazione. Holy Motors, che poi è strutturalmente-carnalmente il personaggio stesso di Oscar, interpreta per inerzia dei ruoli già impazziti, assurdi, che presi nel loro espressionistico isolamento sembrano chiedere allo spettatore se sta realmente guardando. Il dialogo c'è, è costante, ma è sempre lo stesso, un loop pluristratificato. Con Michel Piccoli, poi, una nuova chiave di lettura si scorge: un giorno c'erano le telecamere, poi queste sono diventate minuscole, più piccole della testa, e diciamo che tutti ne hanno scoperto l'artifizio. Era meglio, nostalgicamente parlando, quando si dovevano trasportare quelle grandissime cineprese ingombranti. Perché? Perché le telecamere minuscole sono gli occhi sfavillanti degli esseri umani che contemplano e si chiedono se stanno effettivamente riprendendo una scena con copione, piuttosto che la realtà vera (ripresa!). Se anche poi in quel mondo moderno fossero rimaste davvero persone integre, vere! Probabilmente sono tutte scomparse, probabilmente tutti gli esseri che vediamo nel film sono attori di un copione (cosa che effettivamente sono), e quasi sicuramente sono tutti attori che si muovono sulle loro limousine bianche. Ma allora, se sono tanti attori che recitano (la hostess, la nipote Emilie), per chi stanno recitando? Spettatore, hai rivolto a me gli occhi? 
Carax dunque ci suggerisce che nella realtà è tutto finzione (il motivo radicale per cui sussiste da sempre l'incomunicabilità, magari), e che le uniche vere persone rimaste sono quelle nella sala cinematografica, a cui solo quella finzione reale può essere rivolta. Perché altrimenti la realtà diventerebbe una vera e propria arte postmoderna, che vive per se stessa e mette in secondo piano la fruizione, si arrovella e si arrotola senza costrutto, senza scopo, per non implodere mai, si uccide, come nella scena in cui Oscar interpreta due personaggi l'uno identico all'altro e che si ammazzano a vicenda tranciandosi la carotide, rendendosi simmetrici, siamesi. Spettatore, stai capendo? (Si spera di no).
Le limousine, quei motori sacri, comunicano fra di loro, forse più vive degli esseri umani che trasportano: gli esseri umani faranno a meno di noi. Stiamo per essere rottamati. Perché forma e vita pirandelliani ormai si sono fuse inesorabilmente, e non c'è modo di districarle più. Solo chi fruisce l'arte forse è davvero momentaneamente vivo. Finché la fruisce: la fine del film è la morte del suo pubblico. E Carax avverte di ciò, nel dialogo che intesse con questo: Spettatore, che prima eri senza volto e che esisti solo tu, vivo e sincero, seduto su quella poltrona, immobile, ipnotizzato, che ti chiedi se quello che vedi è vero e se davvero devi dare un significato alla realtà oppure no; Spettatore, che pure sei il motore sperato di un'arte e di una realtà che hanno perso senso e sono solo accozzaglia di interpretazioni; Spettatore, che sei davvero il protagonista di questo Holy Motors, e da te dipende la sua salvezza...sei ancora vivo?

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