Regia di Leos Carax vedi scheda film
Come in una sorta di cervellotico oblivion, andiamo intrecciando storie dove il protagonista s'intrufola, ma con il copione a portata di mano. Dove conosce i coprotagonisti, dove può morire (a termine), dove incontra altri suoi pari che recitano un tassello di mosaico, dove può essere sparato e ferito (anche nella dignità), dove può non risolvere un bel nulla, dove fa il maestrino, il mostriciattolo, il danzatore e l'educatore, o la belva sanguinaria, o dove anche, al suono della sirena, come gli impiegati del catasto, molla tutto l'ambaradam, e ci si rivede un altro giorno....
Ma dove c'è comunque il solito Grande Fratello al di sopra di tutto e tutti, che decide cosa tu, piccolo protagonistino indefesso, travet dei disegni altrui, possa manomettere, o mantenere, nella società che si regge grazie alla Madre di tutte le Recite, ma con un tocco d’iniziativa, dopo aver studiato il copione in camerino, come nelle compagnie più scalcinate e, con una parvenza di rimpianto anche, sognando la parte e la coprotagonista dei tuoi sogni di cartoncino pressato.
A voler essere clementi - ma tanto, però! - ho percepito giusto una discreta parvenza di idea nel ridisegno dell'intrusione orwelliana attraverso il quotidiano di ognuno di noi; avremmo gradito, magari, alcune variazioni sul tema, come con la bimba in querelle col padre: non sarebbe stato malaccio vederla salire anche lei su un'altra limousine per un altro appuntamento chissà dove, a simulare chissà che... (perché qua di lavoro si tratta, e Leo(s)carax ce lo ribadisce fino alla noia...), ma questo nonsense a valanga, questo esaltarsi nell'imprevedibile, stufa nel giro di poco.
Una volta scoperto il gioco tutto diventa possibile e solo ulteriori variazioni avrebbero intrigato.
Ci si limita, invece, al ricorso reiterato dell'allegoria maccheronica, che i Bunuel ed i Kubrick animarono di ben altro spessore, qui inducente allo sbadiglio plastico più che all’incuriosimento ed all'ampiezza di analisi.
Potevamo trovare spazio per infilare gladiatori, astronauti, infermieri in corsia e gigolò (anzi no, il buon Levant è bravo finché si traveste da brutto, bandito e cencioso ma per fargli fare il fighetto più che della sala trucco in auto avremmo avuto bisogno direttamente della Limo alla Industrial Light & Magic...), perché l'attorcigliarsi attorno al non convenzionale non può diventare automaticamente Grande Cinema come gridolini estasiati tentano di far credere.
Anche Denis Levant è sempre lui. Vero è che recita la stanchezza di recitare ma, nonostante rughe, barbe, e cicatrici, è irrimediabilmente lui.
Forse che non gli va - o non è capace? -, al di là del suo recitarsi stanco?
O non trattasi, piuttosto, che di finissima autocritica: un’ulteriore rilettura psichedelica, rimando del regista al suo cinematografarsi addosso, un po' come il fotografo babbeo del cimitero, un'auto(citazione)critica probabilmente sfuggita agli infervorati della torretta d’avorio.
La Mendes, coinvolta in una pleonastica scena erezionale, forse in copione per distrarre lo spettatore dall'appunto Nulla altrettanto pleonastico dell'Eva-da-richiamo-al-botteghino, ci ricorda l'altro grande bluff stagionale, quella Ferilli divanosa de La grande bellezza (...ma come soprammobili chi le batte quelle due?...).
Kylie Minogue, collega di lavoro, concede una ventina di minuti al nostro trasformista e pure una canzoncina - ma guarda un po’.. - prima di (o immaginarsi di) sfracellarsi al suolo...
Non faccio fatica, però, ad immaginare che durante il film la scimmietta finale abbia preso possesso della cinepresa in più d' una occasione assieme alla sediola da pseudo regista girando in autonomia diverse scene catalogate, poi, per clamorosamente buone, in sede di montaggio... e giù di nuovo applausi scroscianti...
In questa sorta di festival della castroneria, il più manomesso è lo spettatore che rimane catatonico più o meno come quella platea iniziale di comatosi assisi dinanzi allo sfogo autoreferenziale di un tizio al quale dovrebbe essere sufficiente girarseli a casa i suoi filmetti visionari senza scassare gli zebedei in giro per il mondo, risultando pure autorevole Autore di un gran bel cinema perché oggi, basta che non si capisca un tubo, tutti gli intellettualoidi sono pronti a sperticarsi a favore del ragguaglio tra le righe, del sottotesto infingardo, della rivelazione inconsapevole, della manomissione della psiche, del contorsionismo messaggistico.
“Anche se ovviamente non faccio film pubblici, ma privati” , dichiara Leo(s); e questo l'avevamo bene (o male) intuito, quello che ci sfugge è perché anche la loro visione, non rimanga un evento intimamente privato...
Lo spettatore medio s'incarta anche lui sul vorticoso tapis roulant, cadendo poi per forza, mentre sparacchia all'impazzata sguardi sempre più sconcertati; anche episodi atti a recuperar(n)e la vivacità, come la zingarata in fisarmonica e salsa gotanprojectiana, rimangono appiccicati in un collage che tende a scorrere via proponendo scattosi impulsi visivi.
Ma devo pagà il biglietto a Leo(s) per un frammentario impulso visivo?
Il richiamo a Cars nel finale mi aveva finalmente destato dallo stato vegetativo ed i titoli di coda - a proposito, che brutto (ri)scivolo nel consuetudinario di un cinema stantìo, i titoli di coda proprio in coda al film! Da questo rivoluzionario Leo(S)carax non me lo sarei mai creso.... - mi hanno bruscamente ricatapultato in questa cruda ed impietosa realtà dove la vita è la vita, il cinema è il cinema e gli incassi producono soldini.. (se becchi il film giusto o gli spettatori guduriosi...).
Di sicuro mi si è ingelosito pure Zemeckis: all'episodio in motioncapture mancava giusto qualche fotogramma in 3D per farlo andare in brodo di giuggiole... certo avrebbe preferito la cartonata Jessica Rabbit al posto della Mendes...
In finale che dire di più? Decisamente un film che lascia inquietamente esitanti ed incerti.
Ammetto che, di fondo, non riesco proprio a decidermi se buttarlo nell'indifferenziata o nell'umido organico.
(francobattaglia.blogspot.com)
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