Regia di Leos Carax vedi scheda film
Un uomo si sveglia nel pieno della notte. Lo sguardo sulla città sottostante punteggiata di vita. L’uomo si dirige verso una parete e trova una serratura. Il suo dito medio è una chiave in metallo. La porta si apre squarciando la carta da parati e un corridoio conduce verso il buio. Alla fine del corridoio una porta si apre su una galleria di un cinema. L’uomo si ferma. Sotto la platea assiste al film, l’uomo resta così vicino al cono di luce che potrebbe essere egli stesso una proiezione di quel fascio di elettroni.
Lo sguardo. Il cinema. Una riflessione sull’identità. Sulla natura della finzione. Holy Motors è un film mastodontico per quanto sia meticoloso nel mischiare l’essenza stessa dello sguardo attraverso i meccanismi che regolano l’attuarsi della finzione cinematografica.
Monsieur Oscar esce da una casa di lusso salutato dai figli e dalla moglie . Sale su una Limousine scortato da guardie del corpo. All’interno della limo l’aspetta una serie di “appuntamenti”. Si trucca, si modifica, si scarnifica e si storpia. Cambia il corso della propria storia camuffandosi da cenciosa mendicante. Neppure la natura del sesso è rispettata ma sciolta nell’esigenza del momento. La mendicante scende dalla Limo e si apposta sul ponte a mendicare. Secondo appuntamento , la Limo guidata da una algida autista si reca in uno studio cinematografico. Indossata la tuta da motion capture, l’uomo si produce in un finto combattimento e in un successivo rapporto amoroso con una donna con analoga tuta . Immagini irreali accompagnano l’amplesso. Di fronte ad un green screen l’uomo simula una corsa imbracciando un mitra. Al ritorno nella limousine ricolma di oggetti di scena e trucchi cinematografici, l’uomo incontra quello che sembra essere un produttore.
La finzione e la realtà si sovrappongono costantemente smembrando il limiti che le separano, si fondono in una dialettica omogenea e ciò che è in scena è il mondo intero. Il profilmico non è solo il palco sul quale agisce l’attore ma è esso stesso messa in scena di un disegno più grande e articolato, qualcosa che riverbera nella mutevolezza del significato dell’arte stessa del cinema e nell’anima di chi è disposto a cedere all’affabulazione dell’inganno accettando di sentire, non necessariamente di capire.
Si parla di microtelecamere che non si vedono mai e a vantaggio di chi, non si sa. L’attore non è più tale poiché non esce dal ruolo e ciò che Carax filma non è il film che stiamo vedendo. E’ la vita espressa in (de)costruzione programmatica di personaggi che (re) agiscono ad un ruolo predestinato. Svuotati di ogni personalità resiste come sola prova della realtà il mezzo con il quale si spostano: La Limousine.
L’attore nella finzione della rappresentazione esce ed entra in personaggi diversi, in storie diverse che solo lui sembra conoscere e svelandone il trucco perpetra un inganno più profondo ancora. Le due finzioni si annullano così in una realtà che di oggettivo non sembra avere più nulla. Altri appuntamenti , nella giornata dell’uomo, altre storie da interpretare, trucchi da esibire in una porzione di tempo nel quale sembra che tutti siano attori che interpretano un ruolo. E forse è così.
Riappare il sig. Merda , l’uomo delle fogne di Tokio! Riappare per destabilizzare l’ordine, il mangiatore di fiori e soldi, rapisce una modella inerte come un manichino di carne (Eva Mendes) e si rifugia nudo a compiere la sua personale Pietà in un antro del condotto fognario. Un uomo litiga con la figlia che gli mente. L’ultimo appuntamento della giornata è interpretare un’altra vita, in un’altra casa con un ospite bestiale. Anche l’amore è soggetto alla rappresentazione slabbrata della realtà che sconfina nella finzione. Sarà il sangue anch’esso un trucco di scena? Forse l’amore che torna era anch’esso in passato una sorta di copione?
Un sentire comune ha evidentemente legato la scelta della Limo bianca a due grandi registi come Carax e Cronenberg, entrambi in concorso a Cannes . La domanda di Pattinson al suo autista “dove vanno le Limo di notte?” è inconsapevolmente svelata da Carax. Se Cosmopolis è un film sulla fine del mondo, Holy Motors è un post catastrofico nel quale le persone sono diventate oggetto di manipolazione, da svegliare, bisognose di Azione. Dove vanno le Limo finisce il mondo umano, ove le identità celate da maschere sono esse stesse identità. La parcellizzazione della personalità del protagonista nella moltitudine di caratteri e stili che ripescano le caratteristiche dei film che di volta in volta interpreta, segna la fine del post moderno per divenire post contemporaneo, quindi futuribile e portatore di una memoria ancora da attuarsi nella realtà.
Film ostico, tremendamente affascinante . L’essenza stessa del cinema trasuda in questa storia senza una reale trama o sviluppo che sia. E’ l’inganno dello sguardo, l’abbattimento di ogni convenzione tra spettatore e spettacolo e la struttura frammentata in ipotetici episodi nei quali non esiste alcun inizio ne’ una fine vera e propria. L’inquadratura è su un “durante” che si presume provenga da molto lontano e ancora per molto tempo potrà perpetrarsi in una ciclicità nella quale l'Azione caleidoscopica dalle molteplici identità è la realtà.
Finale pazzesco, sorprendentemente folle, sospeso tra lo sberleffo e l’azzardo iper-intellettuale, Holy Motors è un film da godere con lo sguardo libero da pregiudizi o da aspettative di una sua facile risoluzione. Ma semina germi di grande cinema che germogliano nella stupefatta consapevolezza di aver assistito a qualcosa di unico.
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