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Holy Motors

Regia di Leos Carax vedi scheda film

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La recensione su Holy Motors

di alan smithee
10 stelle

Tra i molti "fili rossi" che inevitabilmente percorrono i dieci giorni di un festival vivace come quello di Cannes, certamente quest'anno un suo spazio se lo e' ritagliato la limousine, grande macchina pacchiana e trash, ingombrante ed esagerata, destinata a trasportare chi nel mondo ha saputo ritagliarsi un posto d'onore per celebrita', ricchezza, importanza, astuzia o tutte insieme queste caratteristiche. E dunque dopo quella del Cosmopolis di De Lillo/Cronemberg, ecco imbarcarci nel bolide ancora piu' inquietante (proprio perche' piu' sfaccettato e ingombro di oggetti) di Leos Carax e del suo alter-ego Denis Lavant, un vero e proprio camerino su quattro ruote che consente al misterioso Monsieur Oscar - in ventiquattro concitate ore dentro una Parigi in cui scorrono vite, tragedie, follie, attimi di intimita' e violenze inaudite - di inserirsi in questi fiumi di vite che scorrono senza mai fermarsi, per ricoprire le sembianze e la parte di alcuni personaggi, forse scelti a caso, forse no. Alti dirigenti d'impresa, mendicanti, folli usciti dalle fogne (ma e' Monsieur Merde, fantastico personaggio nato nell'episodio dell'autore inserito in Tokyo! - con Gondry e Bong Joon-ho - che qui raggiunge vette da capolavoro grottesco mentre rapisce ad uno stupido fotografo una stupenda Eva Mendes, modella annoiata e strafatta): e ancora padri di famiglia, vecchi morenti, killer spietati, ma anche angeli custodi di una diva suicida (Kylie Minogue) presso un vecchio cadente hotel di un lusso che non c'e' piu'. Fino all'ultimo appuntamento in cui il padre di famiglia fa ritorno nella sua casetta uguale a mille altre, ritrovando la sua famiglia, clone di tante altre, cosi' amorfa e senza personalita' da apparire nelle sembianze di primati addomesticati. Poco dopo il film di Carax risponde pure, indirettamente, alla domanda del protagonista di Cosmopolis quando si chiede dove vanno a finire di notte tutte queste limousines. La risposta e' il garage "Holy Motors", dove la fedele autista Celine (pensate che e' l'attrice Edith Scob, protagonista con Alida Valli del celebre ed amatissimo "Occhi senza volto" di Franju del lontano 1960) riporta l'autovettura al temine della massacrante giornata a far da guida al folle M. Oscar. E dove lo spettatore avra' finalmente la certezza del fatto che sono le macchine che in fondo governano i meccanismi moderni e concitati della vita assurda di tutti i giorni, arrivando stremate a sera tardi a sospirare esauste in un garage, sfinite da una follia umana senza sosta e senza ritegno. E' un piacere trovare Carax, uno dei miei registi piu' amati, di nuovo in forma dopo il gia' promettente corto di "Tokyo!"; e' un piacere ritrovarlo comunque, dopo lunghi anni di silenzio seguiti a quel Pola X cosi' ambizioso e cosi' poco riuscito. Insieme al suo alter ego Denis Lavant  i due formano una coppia quasi simbiotica che ne assicura risultati grandiosi (difatti l'unico brutto film di Carax e' proprio il "Pola X" in cui non recita Lavant, che viceversa non riesce a rendere l'immensita' espressiva che il suo corpo nervoso e sgradevolmente interessante riesce a rendere col suo mentore). Un Carax complesso e dalle mille letture ed interpretazioni come il migliore Kieslowki dei bei tempi; un Carax che non si nasconde dietro un'erezione mostrata con fierezza ed ironia dal mostro davanti ad una Eva Mendes dalla bellezza quasi impossibile, di fronte alla quale egli riesce a trovare forse per la prima volta quella serenita' che lo conduce ad un sonno quasi estatico; un Carax che inizia la sua opera capovolgendo l'idea del cinema, ergendosi lui a spettatore di un pubblico pagante a cui viene richiesto di mettersi in mostra, divenendo protagonisti delle piccole e grandi follie, drammi e vicissitudini di tutti i giorni, in alcune delle quali subentra un jolly, un attore dalle doti mimiche straordinarie che entra nella parte in modo cosi' partecipe e sentito da non riuscire spesso piu' ad uscirne se non con enorme difficolta' e strazio interiore.
Il premio a Denis Lavant come miglior attore mi sarebbe sembrato, nel contesto del Festival, il gesto piu' inevitabile e pertinente in mancanza di una qualsiasi altra menzione allo straordinario film.

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