Regia di Tim Burton vedi scheda film
Tim Burton trae dal suo omonimo cortometraggio live action del 1984 questo lungometraggio d’animazione, prodotto dalla Disney. Il mito di Frankenstein rivive in un racconto per ragazzi, il cui protagonista è Victor, un bambino che, durante un temporale notturno, sfruttando l’elettricità di un fulmine, riesce a risuscitare Sparky, il suo amatissimo cane, rimasto travolto da un’auto. Il bianco e nero che, nella sua opera giovanile, aveva ancora l’aspetto algido e acerbo dell’horror televisivo degli anni settanta, acquisisce qui, grazie alla presenza delle figure tondeggianti della stop motion, l’aspetto lugubre e plastico delle favole sui mostri, in cui le ombre prolungano la realtà verso la misteriosa dimensione dell’oltretomba. La storia si svolge in un ambiente crepuscolare, in una semioscurità impregnata di scetticismo, ma dentro la quale, di nascosto, riesce a farsi strada il timido bagliore del miracolo. La (fanta)scienza compare nella doppia veste di meraviglia e maledizione: un paradosso che sfida la razionalità del mondo degli adulti con la tenacia dei sogni infantili, i quali non temono di arrischiarsi ad entrare nell’inquietante territorio della leggenda macabra. È una fantasia creativa e ingenua quella che sa trasformare l’incubo in speranza, strappandolo al buio del pregiudizio che circonda di tabù l’ignoto. Per i piccoli protagonisti di questo film – Victor ed i suoi compagni-rivali – il teatro dei loro giochi proibiti è la zona di confine tra la vita e la morte, tra l’evidenza, che è immodificabile e per questo è spesso fonte di frustrazione, e l’immaginazione, in cui tutto diventa possibile. Il romanticismo, sia pur velato di tristezza, si carica così di un’energia positiva, intensa e penetrante come quell’incandescenza che riempie i toni del grigio della corposità morbida, lucida e compatta di una scultura metallica. La sua superficie levigata diffonde il riflesso opaco di una luce distante, il faro di una rivelazione che non osa avvicinarsi ad un universo troppo affezionato alle sue tenebre. Intanto, però, quella luminosità incerta basta a far sì che la magia nera risulti lambita da un’aura rassicurante, che tiene lontana la paura. Questo ritorno sul tema d’esordio segna per Tim Burton il punto di arrivo nello sviluppo dell’idea di fondo che ha ispirato tutta la sua filmografia: anche la poesia funerea può tingersi di rosa, se la sua tetra ambiguità riesce a contenere il presagio di un lieto fine. Questo Frankenweenie, come Nightmare Before Christmas e La sposa cadavere, è la rappresentazione di un bellissimo brivido di amore, coltivato sotto la luna, mentre un lampo improvviso attraversa, dolorosamente, il cuore.
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Bene bene, più che buone notizie da Tim Burton, insomma. Alla faccia di quelli per cui è "tra i cineasti più sopravvalutati di sempre" ...
Perlomeno Tim Burton è uno degli "unici" autori contemporanei che mantiene vivo un suo tocco personale,lontano dai dogmi di matrice Hollywoodiana,a parte ovviamente alcuni sue ultime fatiche.Burton rappresenta un modo di fare cinema" antico" e passionale,virtu' rara oggigiorno.
Grazie dei commenti. Sono d'accordo, quella di Tim Burton è arte "autentica", che segue soltanto i gusti e la fantasia del suo autore. La sua anima è una visionarietà libera, che sfida le contraddizioni e riesce ad apporre, su ogni situazione, l'intramontabile sigillo del sorriso. Ogni film esibisce con modesta fierezza la sua firma, che si legge così: "Questo sono io". Un caro saluto da OGM.
oltretutto una cosa: mentre in altri film gli errori dei ragazzini sono rappresentati con molta umanità e carezzevole indulgenza, qui invece c'è proprio un universo di mostri tremendi, cullati tanto dal cattivo sentimento quanto da un intelletto malvagio. L'espressività di Burton è a tutto campo, e non è affatto docile all'obiezione morale circa gli "intoccabili" dello schermo.
Grazie, giuseppedimarco94, per la brillante osservazione. Nulla è sacro. Nemmeno l'innocenza. Un caro saluto da OGM.
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