Regia di Simon West vedi scheda film
I mercenari sono uno stato della mente.
Anacronistica, analogica, tamarra. Infine - com’è tale la destinazione ultima dell’allegra banda buzzurri - museale. La - facile facile - battuta (“quello dovrebbe stare in un museo” - “anche noi!”), per amor di cronaca, è del già governatore Arnold Schwarzenegger, declamata (era evidente come le vene pulsanti di Sly che non vedeva l’ora di dirla!) con “sottile” (auto)ironia durante l’irrinunciabile scena (auto)celebrativa finale che riunisce i tre pezzi grossi - Stallone, Willis, Schwarzy - che riempiono l’inquadratura come barilotti stracolmi di polvere da sparo (a salve) sul punto di esplodere (per finta). Eppure la pronuncia con tale candore, con tale puerile, tenero convincimento che non si può che volergli bene, a questi (giammai) sacrificabili. Ricaricabili (a giudicare da certi “movimenti” e volti grinzosi, la “scadenza” pare prossima …), (s)gonfiabili, Eroi.
E già, valorosi (anti)eroi, old style, vecchio stampo, mummificata matrice dimenticata dal dio del cinema e resuscitata per volere - e nelle vesti (steroidate) - del cristico Sylvester, Uomo dalle molteplici morti, dalle mille rinascite. Araba fenice che sulle ceneri c’ha gioiosamente sputato quintalate di metallo fuso e pe(n)sante e con le penne c’ha scritto pagine di storie piene di reietti e proiettili (ma non solo). Non un genio, non un Autore, ma un tizio cocciuto e ardimentoso, pieno d’incrollabile fede e capacità di ca(r)pire i tempi, di annaffiarsi e bearsi - anziché di cafone champagne - di Nostalgia. Ed invitando alla gagliarda rimpatriata anche il pubblico, noi. Quelli cresciuti tra gli anni ottanta e novanta a suon di action testosteronici e ignoranti, adrenalinici e ruspanti, bellicosi e diseducativi. Ma - e qui c’è stata la sorpresa col primo capitolo - un’ opera(zione) capace di fare leva anche sui più imberbi, attratti da una imprevista miscela di curiosità e irritazione verso l’ipersatura e unidirezionale offerta di film di genere - giocattoloni senz’anima in cui le sequenze d’azione risultano fasulle e convulse - deturpati da effetti speciali digitali e contiguità con il fagocitante mondo dei videogame.
Ecco, pertanto, il secondo della serie.
Sul film, in verità, non c’è molto da dire, o meglio da aggiungere rispetto a quanto già fatto col primo. E’ uno di quei casi in cui affermare che il seguito è più debole dell’originale, o viceversa, ha poco senso. Certo, a spulciare dettagli, ad analizzare i copioni, a confrontarli in tutto e per tutto, si possono fare diverse considerazioni. Che lasciano, appunto, il tempo che trovano, perché è il “progetto” che conta, che ha valore (d’esser esaltato come stigmatizzato), e che continuerà finché non avrà stancato. Semplice.
Ciò che è da segnalare è innanzitutto il cambio di regia: in luogo di Stallone, evidentemente per liberarsi dall’importante carico (va detto che ne I mercenari era coadiuvato dal regista di seconda unità Spiro Razatos), subentra Simon West. Uno che, di becerume all’ennesima potenza ha già dato più che “valido” sfoggio di sé (Con Air; Lara Croft Tomb Raider; The Mechanic). Quindi, perfetto. Agisce in continuità con il primo episodio, con i medesimi calibrati ingredienti, e in armonia con lo spirito verace e sanguigno instillato da Sly; non stravolgendo, dunque (inevitabile a meno di non volersi suicidare, d’altronde), quelle che sono le linee tematiche e visive che tanti favorevoli riscontri hanno ottenuto al debutto. Dopotutto è solo un action rude e tamarro: raffiche di mitra, botte, inseguimenti a folle velocità, esplosioni (BOOM!), ammazzamenti truci, motori rombanti, sparatorie infinite, amicizie virili, muscoli, coltelli che si conficcano in gola, duelli, ferocia a profusione, sangue come piovesse, sacrifici. Azione, baby, solo azione. Ma quella “vera”, che si riesce a “vedere”, a distinguere, quasi a “condividere”, dannazione!
Naturalmente, è obbligatorio che quella parte (più o meno piccola, più o meno funzionante, più o meno presente …) del vano cerebrale adibita alla (faticosa) elaborazione logica di pensieri, idee, ragionamenti, sia - per tutta la durata del film - “corrotta” e superata (a destra) dai più rozzi e primitivi bisogni di svago e perversa inconfessabile partecipazione (sì, fagli saltare la testa a quello!). Premessa doverosa e necessaria, perché se si stanno a contare incongruenze e scivoloni di sceneggiatura (una su tutti: il cattivo che risparmia i mercenari che poi non potranno fare altro che vendicarsi!), si perde tutto il gusto, è come avere un tête-à-tête con un’arrapante e disponibile donzella stando tutto il tempo a rimuginare sulle possibili reazioni della compagna … e no, non si fa! Appassisce la poesia, svanisce la goduria.
Altro elemento da sottolineare, già ampiamente annunciato, è il rinfoltimento del cast. A partire dalle altre due stelle, Willis e Schwarzenegger: la sensazione, nel loro caso, è che abbiano aspettato (astutamente) gli esiti (di pubblico ma anche di critica) del primo, rischioso capitolo in cui avevano partecipato in un simpatico cameo (praticamente un favore all’”amico”) per poter poi riconsiderare un più ampio sviluppo dei propri personaggi in questo seguito (a maggior ragione che per l’austriaco è terminata la carica di governatore della California), ed in effetti è quanto avviene, pur rimanendo comunque nelle retrovie di un’avventura che è fieramente stalloniana (se l’è sudata, direi). Gli altri colpi messi a segno sono l’indefesso reazionario Chuck “Walker Texas Ranger” Norris nel ruolo di un solitario combattente che spazza via - non si sa come - avversari e carri armati con impressionante (e non visibile …) facilità (un paio di interventi i suoi, a sorpresa, simpatici e azzeccati. Vai Walker!), e il villain Vilain (!!) Jean-Claude Van Damme, che sfodera occhiali da sole e ghigno da cattivo ma anche una certa stupidità (insita nei geni del male, altrimenti come fanno a fare una brutta fine?), e a cui è riservato l’onore della battaglia finale con l’eroe buono.
Tra i nuovi, “minori”, ingressi ci sono (finalmente) una donna, la cazzuta cinese Yu Nan (è Maggie, esperta di computer, lingue, corpo a corpo, torture e quant’altro) e il “bimbo” Liam Hemsworth (l’ex soldato Billy The Kid). Se era lecito pensare che quest’ultimo servisse ad attirare anche il pubblico femminile, ebbene, guarda caso, è proprio lui quello che schiatta e che scatena la furiosa voglia di vendetta dei compagni mercenari ...
Infine, da registrare l’uscita (si spera momentanea, e comunque non chiara) del grande Jet Li, che almeno fa in tempo ad esibirsi in un combattimento degno della sua maestria (cosa che non capitava nel primo nel quale le prendeva da tutti) e la non specificata assenza di Mickey Rourke. A tal proposito è dunque da notare la totale inconsistenza delle voci circolate riguardanti l’uccisione del suo personaggio. Nel prossimo lo aspettiamo, allora …
Il resto è ovvio, prevedibile ed ineludibile, e la trama è puro pretesto per inscenare le gloriose gesta, intrise di misurate dosi di malinconia e goliardia (le battute rozze, “da maschi“, si sprecano), di un manipolo di guerrieri, magari fuori dal tempo, ma sicuramente in grado di appassionare e di creare uno spettacolo (e null’altro) avvincente e divertente.
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