Regia di John Ford vedi scheda film
E' con Ombre rosse che il western diventò davvero adulto: romantico e asciutto nella sua struttura lineare, ha trasformato la storia del genere facendo da spartiacque fra "il prima" e "il dopo".
Un'opera epocale che ha imposto la classicità della visione in un genere (Lourcelles lo definì "un capolavoro in perfetto equilibrio fra la teatralità e l'avventura, lo spazio chiuso e l'immesnità cosmica, l'aneddoto e la sintesi, l'epicità e il messaggio") che fino a quel momento era considerato uno spettacolo infantile, buono per serial e produzioni in economia e destinato soprattutto a un pubblico d'estrazione provinciale-contadina.
Nessuno ci avrebbe scommesso sopra un soldo bucato (David Selznick in primis, che lo rifiutò quando gli fu proposto di finanziarlo perchè pensava che sarebbe stato un fiasco clamoroso questa storia di una diligenza attaccata dagli indiani e delle differenti reazioni di fronte al pericolo di un gruppo composito di personaggi che ci viaggiava dentro).
Perchè quando il film fu messo in cantiere, anche John Wayne (che aveva già 31 e che dopo il fallimento al box office de "Il grande sentiero" riusciva a malapena a sbarcare il lunario lavorando in produzioni secondarie e tutte di serie "B") era tutt'altro che una star. E infatti il primo nome in cartellone non era il suo, ma quello di Claie Trevor, ottima attrice, ma che "diva" nel vero senso della parola non lo è mai stata.
Credo sia del tutto inutile tornare a soffermarci sulla storia (universalmente conosciuta) se non per ricordare che la sceneggiatura di Dudley Nichols traeva origine (con l'inserimento di alcuni nuovi personaggi come il dottor Boone e il borioso e disonesto banchiere Gatewood) dal racconto di Eernes Haycox "Stage to Lordsburg" ispirato a sua volta da "Palla di sego" di Maupassant.
Il successo fu straordinario (e sicuramente Selzinick si sarà mangiato le mani, visto che a causa del suo rifiuto il film fu poi prodotto dalla United Artists) proprio nel suo ridefinire i confini dell'immaginario anche con la scelta delle location, diventate "immortali" e leggendarie - ma fino a quel momento sconosciute cinematograficamente parlando - come quelle della Monument Valley (opzionate dal regista oerchè si trovavano nel cuore della riserva Navahos, e girando laggiù avrebbe potuto aiutare i pellirosse che versavano in precarie condizioni economiche e di emarginazione sociale).
Per Wayne fu poi il definitivo viatico per una affermazione planetaria: quando Ringo Kid entra in scena nel film, sulla pista polverosa, facendo ruotare il fucile con una mano sola - una delle sequenze più famose e ricordate di tutta la storia del cinema - lo spettatore (quello di ieri come quello dell'oggi) capisce subito che quello non è solo l'ingresso del protagonista della storia, ma anche o di un attore che con quella scena e "da quel momento", entrerà di diritto e per sempre nell'Olimpo delle immarcescibili star del firmamento Hollywoodiano.
Si portò a casa due Oscar il film (per Thomas Mitchell come migliore attore non protagonista, e per la colonna sonora di Richard Hageman, Frank Harling, John Leipold e Leo Shyken ottenuta rimaneggiando e riadattando 14 canti popolari americani (e ben altre cinque nominations: al film. alla regia, al montaggio, alla fotografia in bianco e nero e alla scenografia).
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