Regia di John Ford vedi scheda film
"Ombre rosse" è un capolavoro del cinema e sicuramente uno dei dieci migliori western di sempre: in una mia ideale lista occuperebbe il numero uno, se non altro per "meriti cronologici". Questo film di Ford (sceneggiato dal grande Dudley Nichols) sa coniugare come forse nessun altro western precedente e successivo l'azione ambientata negli ampi spazi della Monument Valley con le scene in interni. L'azione vera e propria del film comincia infatti dopo che il regista ha descritto le psicologie dei personaggi che viaggeranno sulla diligenza: dal medico ubriacone alla umile prostituta (che insieme al bandito Ringo rappresentano i reietti della società), dal banchiere ladro al giocatore d'azzardo alla spocchiosa signora Mallory proveniente dalla civilizzata Virginia. Per Ford la diligenza è una metafora della nascita degli Stati Uniti moderni (cui purtroppo restano estranei proprio i nativi): la signora onorata e la prostituta, il fuorilegge dal buon cuore e il medico ubriacone, il commerciante di liquori e il gentiluomo del sud rovinato dal gioco, senza contare il banchiere disonesto ed ipocrita che si atteggia a persona irreprensibile. E tutto questo inserito in un contesto di forte puritanesimo, rappresentato dalla Lega delle brave donne di Tonto che cacciano dalla cittadina la prostituta e il medico alcolizzato. Durante il viaggio i ruoli si scambieranno più volte: il tremebondo commerciante di liquori, spesso appellato "reverendo" si trasformerà quasi in un vero prete, il medico alcolizzato saprà tirare fuori la propria residua dignità professionale nel momento del bisogno, mentre il giocatore chiederà che il padre giudice sappia che il figlio è morto in maniera onorevole. La prostituta sentirà il richiamo di una vita da moglie e mamma, il fuorilegge si rivelerà eroe, la signora perbenista scoprirà la dignità di chi sta più in basso di lei, lo sceriffo mostrerà il volto umano della legge e il banchiere sarà arrestato come un volgare ladro. Gli indiani, e qui siamo alle dolenti note, sono vere e proprie "ombre rosse": più volte evocati, compaiono soltanto nella spettacolare sequenza dell'assalto alla diligenza che ormai ha fatto scuola. Ford non ha nessun atteggiamento negativo nei confronti dei pellerossa, ma se una pecca c'è è quella di aver spesso (e in questo film pure) lasciato in ombra le "ragioni" degli indigeni, che agli occhi di un tre-quattrenne qual ero io quando vedevo questi film per la prima volta, apparivano come dei violenti selvaggi che attaccavano una diligenza senza motivo e in maniera insensata. Diversi anni più tardi Ford stesso riconobbe di avere mancato in questo senso e gli indiani, nobilmente, lo accolsero come membro onorario della loro comunità. Fra l'altro, guardando il film mi sono domandato come mai gli Apaches non sparassero ai cavalli che tiravano la diligenza: in quel modo l'avrebbero fermata immediatamente. La stessa domanda fu posta a Ford, il quale rispose che "è probabilmente ciò che nella realtà gli indiani avrebbero fatto, ma se lo avessero fatto nella finzione scenica il film sarebbe finito subito". Ecco, dice Ford, tutto sommato si tratta di un film. Un film che si può vedere, ed apprezzare pienamente, anche dopo avere visto gli spaghetti western e i film politicamente corretti, anche nei confronti degli indiani, degli anni settanta: caso mai sono questi che non possono prescindere da "Ombre rosse". Contribuiscono alla grande riuscita del film gli attori, tra i quali restano impressi soprattutto il giovane John Wayne e l'anziano (be' insomma era di soli quindici anni più vecchio di Wayne) Thomas Mitchell, che per l'interpretazione del medico ubriacone ricevette il premio Oscar. Un appunto va fatto al doppiaggio italiano, che probabilmente, a distanza di sessantasei anni, sarebbe da rifare: come si può accettare di sentir chiamare "maresciallo" lo sceriffo, neanche fosse un sottufficiale dei carabinieri, oppure John Wayne che dice di chiamarsi Enrico?
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