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Ombre rosse

Regia di John Ford vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Ombre rosse

di obyone
8 stelle

 

John Wayne, Louise Platt

Ombre rosse (1939): John Wayne, Louise Platt

 

"Ombre rosse" di John Ford viene considerato da molti il capostipite del genere western. Questa interessante affermazione ha un fondamento logico condivisibile benché non sia corretta in maniera assoluta. Quando nel 1939 il film si apprestava ad uscire nelle sale americane il western era, infatti, un genere vecchio quanto il cinema. Questo perché già dagli albori del cinematografo le pellicole sovrapponevano il western cinematografico con l'epoca della Conquista dell'Ovest che andava spegnendosi con i primi vagiti della creatura dei Lumière. Già sul finire dell'Ottocento i racconti filmati, sovente di pochi minuti, riproducevano quello che oggi definiremmo l'immaginario collettivo del genere, benché allora si trattasse semplicemente di contemporaneità o, al massimo, passato recentissimo. La commistione tra genere narrativo ed epoca storica trova una famosa convergenza nel personaggio di Buffalo Bill le cui gesta confluirono in numerose pellicole (da Robert Altman a Cecil B. DeMille passando per Marco Ferreri). Fu mille cose William Frederick Cody. Fu anche impresario, regista e attore cinematografico prima che Hollywood si occupasse di lui. Anche il bandito Al Jennings, dopo aver capito che la celluloide rendeva più di un assalto al treno, recitò in numerosi film a partire dagli anni '10 diventando celebre in patria. Naturalmente il ruolo tipo era lo stesso che lo rese famoso alle compagnie ferroviarie. Il cinema, a quell'epoca era il divertimento dei minatori, dei contadini, degli allevatori e della classe operaia. Era normale, dunque, che il mondo a loro famigliare finisse rappresentato in quello che chiamerei proto-western. Gli assalti ai treni, le scazzottate nei saloon, i furti di bestiame e così via erano elementi comuni ai territori di frontiera e alla difficile quotidianità dell'epoca. La realtà era molto dura ed i primi film la rappresentavano senza belletti. Nei primi vent'anni del '900 i filmati si allungarono e vennero curati maggiormente elementi strutturali come le scenografie e la sceneggiatura. Le storie iniziavano a prendere corpo e con esse sentimenti e sensazioni costruite a tavolino che andavano a togliere spazio alla rappresentazione del "vero". Il genere iniziò ad imprimere il proprio marchio. In quegli anni la serialità dei racconti rese i protagonisti eroi senza macchia decretando il successo degli attori e dei loro personaggi (Broncho Billy). In questa fase il successo dipese molto dall'idealizzazione, che fece del protagonista, il pubblico proletario. Il western, tuttavia, rimase un genere a sé. Scarso minutaggio, riprese in esterni, proiezioni spesso collegate ad altri film che costituivano il piatto forte dello spettacolo. Solo con gli anni '20 i produttori iniziarono ad intuire le potenzialità del genere e misero a disposizione capitali di un certo peso per la realizzazione dei film. Gli episodi però rimasero isolati e tra i vari tentativi si potè annoverare il primo western di John Ford del 1923, "Il cavallo d'acciaio" che ebbe grande successo al botteghino. Le adrenaliniche sequenze del film di Ford non incontrarono il beneplacito della classe dirigente che, a contrario di quella operaia in ascesa, andava palesando un nazionalismo che si addiceva maggiormente all'epica che alle volgari scorribande tra indiani e cowboy. Il pubblico decretò l'insuccesso dei western epici, spesso statici, così per tutto il resto dell'era del muto il genere tornò a diventare B-Movie. Solo sul finire degli anni '30, gli americani tornarono ad interessarsi della conquista del West. Il crollo della borsa e la lunghissima crisi economica avevano, nel frattempo, modificato l'humus su cui attecchiva il pensiero sociale. L'ottimismo che aveva segnato l'espansione economica era deceduto sotto il peso della disoccupazione e della fame. Gli americani cominciarono a provare sentimenti nazionalistici sempre più spiccati che coinvolsero quella stessa base che li aveva rigettati dieci anni prima. Alla nomenclatura bianca non sfuggì il connubio tra nazionalismo e potere educativo della settima arte. E poiché il western era rimasto, di fatto, molto popolare tra la plebaglia ci fu un ritorno di fiamma tra i produttori e le vecchie Colt. Mantenendo dunque gli elementi di azione e il ritmo dei B-Movies, amati dal pubblico, le produzioni di fine anni 30 mostrarono un nuovo approccio "educativo" che promosse il genere a livello strategico. Il western era ormai buono per gli A-movies e per la crescente propaganda pre-bellica che idealizzava la patria americana.

 

scena

Ombre rosse (1939): scena

 

Alla luce di questa lunga premessa "Stagecoach" ci appare come antesignano di un prodotto che si sarebbe affermato in maniera inequivocabile negli anni a venire coinvolgendo finalmente le stelle del firmamento hollywoodiano, i grandi registi e i capitali che mai sarebbero stati impiegati in precedenza. In tal senso il film di Ford, pur stagliandosi in un orizzonte già conosciuto, rappresentò effettivamente un momento di rottura col passato. Il genere fu aiutato dal successo decretato dal pubblico (al botteghino) nonostante i protagonisti del film (John Wayne e Claire Trevor) non fossero le prime scelte del produttore e nonostante Ford dovette rinunciare al budget desiderato per le riprese a causa della testardaggine nel difendere il cast dall'invadenza del produttore. "Stagecoach" fu, dunque, il patriarca di una lunga stagione in cui il genere venne promosso ai più elevati ranghi delle produzioni hollywoodiane seriali. Naturalmente il film non avrebbe tanto prestigio senza doti intrinseche. E qui il merito è in gran parte di John Ford che seppe andare oltre una storia abbastanza semplice con la sua personale visione d'insieme. La diligenza, un gruppo eterogeneo di passeggeri costretti ad un pericoloso viaggio nei territori apache e Geronimo sul piede di guerra furono gli ingredienti del road movie a cavallo che Ford girò nella Monument Valley. Le riprese in esterno, come era usuale nei B-Movies, divennero un must e valorizzarono il paesaggio esterno come elemento fondante del genere. L'ambiente spesso desertico e inospitale aveva un significato simbolico non indifferente, rappresentando le difficoltà dell'uomo a rigenerarsi e ad incedere nel progresso contro tutto e tutti, natura compresa. La camera statica di Ford seguiva la diligenza bucare lo schermo ed attraversare i lineamenti rudi di un terreno brutale quanto la situazione vissuta dal drappello di uomini e donne in viaggio. Ford passava dalle inquadrature auliche del paesaggio ai primi piani sui passeggeri. La moglie di un ufficiale dell'esercito incinta, una prostituta costretta all'esilio, un banchiere sospetto, un giocatore d'azzardo, un dottore sempre ubriaco, un rappresentante di liquori ed infine un pistolero fuggiasco erano costretti ad una temporanea alleanza per battere il nemico impalpabile della paura e quello reale dei guerrieri apache a cavallo. Ford diresse con un crescendo di tensione privilegiando inquadrature strette nell'incavo della diligenza o nelle stanze dei ricoveri dove continuava la coabitazione forzata dal viaggio. Splendida la scena dell'attacco che fu realizzata in pianura per consentire alle automobili di percorrere il tragitto a gran velocità e accentuare la spettacolarità della sequenza. Gli indiani non avrebbero mai attaccato in un luogo così esposto ma come già detto il pubblico amava i canoni del B-movie e sicuramente la carica della diligenza con il suo ritmo forsennato rappresentò l'apice dell'azione fordiana.

 

Claire Trevor, John Wayne

Ombre rosse (1939): Claire Trevor, John Wayne

 

L'aspetto che mi ha coinvolto maggiormente è stato lo scavo psicologico. I personaggi del medico, interpretato da Thomas Mitchell e la giovane Dallas, interpreta da Claire Trevor, hanno lasciato il segno sfoderando un'insofferente dolenza contro le leggi precostituite ed una solitudine mitigata dall'umana pietà. La morale nascosta tra le volute di polvere alzate dai cavalli era quella del suo tempo. I viaggiatori che si scoprivano alleati, superando le proprie ideosincrasie di fronte ad un pericolo latente, rappresentavano un paese diviso ma capace di un legame forte di fronte al nemico. Il punto di vista era, ovviamente, bianco. I nativi erano i nemici, gli ispanici erano vili o, al più, poco affidabili come il cocchiere, unico elemento di una minoranza a stare sulla diligenza, ma non all'interno dove a consumarsi erano gli ardori e i dolori di pochi eletti. Con alle spalle la crisi economica che riviveva nell'abbietta figura del banchiere e di fronte ai presagi di una guerra mondiale inevitabile, "Ombre rosse" metteva il proprio pubblico davanti ad una scelta: un'alleanza di "larghe intese" che consentisse al sistema di sopravvivere oppure il dissesto del saccheggio e della morte (del paese). John Ford fu molto intelligente a non calcare le corde del lirismo apogetico e preferì buone dosi di ironia che spesso sfiorarono il sarcasmo nella descrizione dei propri personaggi. Le donne impettite della "lega della moralità" sbeffeggiate dal dottor Boone ed il continuo paragone a distanza tra la puttana dal candore di una vergine e la puerpera di buona famiglia ma vile come una cagna rasentano il più feroce dileggio. L'America era imperfetta e Ford non lo nascondeva dietro un dito, lasciando semmai trasparire la consuetudine di un paese che si "ubriacava" degli stessi vizi forniti da una classe industriale, politica e finanziaria paternalista e arrivista.

A mio avviso l'unica pecca del film è la parte finale. La pellicola ha il suo naturale epilogo all'arrivo a Lordsburg. Avrei dato commiato con un romantico addio tra Dallas e Ringo in attesa di un futuro ricongiungimento. Invece il racconto prosegue con l'esecrabile duello tra Ringo (John Wayne) e i fratelli Plummer. La vendetta è superiore alla giustizia? Va sbandierata come unica arma di riscatto? Il vecchio West obbediva a leggi proprie, spesso violente ma, forse, nel contesto civile del 1939 era opportuno un maggior distacco ed una maggior fiducia verso le istituzioni rappresentate, a contrario, da uno sceriffo accondiscendente ed un esercito assente. Ma forse Ford voleva mettere il dito sulla piaga di istituzioni non pervenute (anche nel '39) riuscendo tuttavia a creare qualche imbarazzo interpretativo.

Il resto, invece, è un ottimo film che ha fatto la storia del cinema. Non me ne vogliano i nativi, unici veri americani, senza posto a sedere in carrozza, così come le altre etnie che già costituivano il meltin pot americano.

 

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Claire Trevor, John Wayne

Ombre rosse (1939): Claire Trevor, John Wayne

 

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