Regia di William Wyler vedi scheda film
Il titolo originale The Letter fa riferimento al racconto omonimo di William Somerset Maugham e all’opera teatrale in tre atti dello stesso scrittore e drammaturgo, in effetti il peso narrativo di questa misteriosa lettera è predominante nella storia ma per una volta devo ammettere che l’adattamento italiano mi appare assai più fascinoso è azzeccato.
Ombre malesi racchiude infatti in due sole parole l’essenza di un grande melodramma, un titolo che esplicita chiaramente la natura del film di William Wyler, giocato tutto sull’estetica di luce e ombra, figlia di una fotografia che richiama stilemi tipici del noir, e su un ambientazione esotica di grande appeal come quella malese.
Folgorante l’incipit che trasforma una tranquilla serata di relax (per i lavoratori della piantagione di gomma di Mr. Crosbie) in una drammatica notte di morte, tra nubi che solo per un attimo coprono peccati nascosti e colpi di pistola improvvisi, l’occhio di Wyler si muove sinuoso mostrandoci prima la pace e poi la violenza spietata, una violenza che ha il volto giovane, bello e malvagio di Bette Davis, che esce dal suo bungalow pistola in pugno e con sguardo sprezzante infierisce sul corpo di un uomo già colpito a morte, uno, due, tre spari e poi ancora fino a quando l’arma dice basta con il suo metallico click.
Bette Bavis è Leslie Crosbie, la moglie del proprietario della piantagione che subito viene fatto chiamare, insieme ad un ufficiale di polizia e ad un avvocato di fiducia, la vittima un certo Geoff Hammond, freddato dalla donna per sfuggire ad un tentativo di stupro, o almeno questa è la versione ufficiale ma le indagini sono all’inizio e la comparsa improvvisa di una misteriosa lettera getterà nuova luce sull’intera vicenda.
Ombre malesi non nasconde la sua natura melodrammatica ma anzi ne fa un punto di forza, lo spessore dei personaggi, tutti ben caratterizzati, consente una precisa analisi del dramma umano, uno studio profondo sulla contorta personalità della protagonista, vittima e carnefice di se stessa, una donna dal carattere forte ma sopraffatta dall’onda anomala dei suoi sentimenti, spietati nella loro duplice natura incontrollata.
E’ l’eterno contrasto fra bianco e nero, fra bene e male, fra luce e ombra, Wyler con la sua regia elegante e precisa ma anche potente e intensamente efficace, ci racconta tutto questo, non perdendo mai di vista la gigantesca Bette Davis, che ci rende come meglio non si potrebbe un personaggio sofferto e ambiguo, in eterna lotta con se stessa per uscire da un vortice che sembra risucchiarla sempre più giù, nell’antro oscuro dove si nasconde l’accecante luce della verità.
Ma non è una verità legale che tormenta Mrs. Crosbie, perché tale verità non esiste, si può contraffare, si può ingannare, si può comprare, nell’aula di un tribunale tutto è lecito, facile inquinare la moralità, minare il rispetto della legge dell’avvocato che la difende, facile raggiungere un compromesso favorevole.
Ma la lettera resta una prova inconfutabile, un tangibile segno di un peccato che non si può nascondere ne mistificare, Leslie Crosbie è consapevole di questo, lo legge dentro la sua anima nera e sofferente ma ancor di più nello sguardo inflessibile e carico di odio di Mrs. Hammond (una strepitosa Gale Sondergaard), la moglie indigena dell’uomo che ha ucciso, uno sguardo che vale più di mille parole e che chiede vendetta, non denaro.
Wyler mette queste due donne a confronto, una di fronte all’altra in una scena memorabile del film (una delle tante), è un sfida quasi da western classico, con le due contendenti che si fronteggiano schizzando veleno da occhi velenosi (“ha gli occhi di un cobra” dice Mrs. Crosby al suo avvocato), la tensione è tangibile e quasi si può toccare con mano, in ballo c’è la lettera incriminata, la prova decisiva ma di fatto “inutile”, perché l’unica verità possibile brilla nella notte e ha la forma di un coltello intarsiato.
Ombre Malesi è un classico senza tempo, uno di quei film che non stancano mai, che ad ogni visione ti lasciano qualcosa di nuovo, che sia una sfumatura nella recitazione della Davis (e quante ce ne sono!) o un particolare proposto da Wyler al quale non avevi fatto caso, un film che eccelle sotto molti aspetti, che vanta un cast notevole e delle prove attoriali superbe, un film che è pura magia perché ti trascina in uno scenario esotico al quale è impossibile restare indifferenti, un opera completa esaltata dalla fotografia contrastata di Tony Gaudio e dalle musiche di Max Steiner.
Ben sette le candidature all’Oscar (tra cui miglior film, miglior regia e miglior attrice protagonista alla Davis) e incredibilmente nessun premio, ma questo alla fine conta poco, non sono le fatidiche statuette a fare grande un film e di esempi ce ne sono tanti, Ombre malesi o The Letter che dir si voglia resta uno dei più fulgidi esempio del grande cinema americano anni ’40, un film semplicemente immortale.
Voto: 9
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta