Regia di Susanna Nicchiarelli vedi scheda film
Fare i conti con gli anni di piombo. Forse è davvero impossibile. Perché ci si illude che il tempo aiuti a capire. E che davvero i ricordi contengano la verità, e che il senno di poi, storicamente parlando, serva davvero a qualcosa. Ma l’eccezionalità del momento appone alla realtà un filtro malato, che a distanza di decenni è ancora lì, a falsare la memoria e ad incrostare la capacità di giudizio. La gente sta male ed è confusa, come lo è in ogni epoca, per i motivi più diversi, eppure si è subito pronti a dare la colpa a quel virus che è sulla bocca di tutti, e che sembra onnipresente. Il terrorismo è una minaccia mortale di cui è naturale avere paura, ma che è troppo facile ridurre al lupo cattivo delle fiabe infantili. L’incubo vero, al di sotto delle tante tragedie individuali, è andare a scavare nel modo complesso e perverso in cui quel mostro si intreccia con la normalità della vita, al di sotto della cui superficie sviluppa insospettabili ramificazioni di crudele ambiguità. Si può provare a rivoltare la terra, per mettere a nudo l’intrico del suo paradossale segreto, ma è inutile rimestare in quel vecchio pantano che, con l’età, è diventato soltanto più duro. Caterina Astengo non vuole arrendersi all’indecifrabilità del passato. Suo padre, un professore universitario di diritto del lavoro, è misteriosamente scomparso trent’anni orsono. Si dice sia stato rapito dai brigatisti, che poco prima avevano sparato al suo amico e collega Mario Tessandori, preside della sua facoltà. Caterina non vuole rinunciare all’idea di poter riportare indietro le lancette, di rendere reversibile ciò che si è definitivamente chiuso, sbattendo fuori dalla porta ogni ragione. La sua ricerca, iniziata per caso, è forse fatta solo di immaginazione, di follia, di pura fantascienza, ma è profondamente radicata nella convinzione che tutto, anche ciò di cui si è perso ogni indizio, possa essere infine spiegato, e magari addirittura cambiato. Caterina parla al telefono con la bambina che era. Crede che, a posteriori, quello che nel frattempo è successo permetta di risalire alle origini del problema e a prevenirne l’infausto sviluppo. Non si rende conto di non avere effettivamente nessun potere, di non sapere nulla più di allora, perché, nonostante sia diventata una donna matura e tanto inchiostro sia stato versato, lei e gli altri continuano a muoversi sullo scivoloso terreno dell’apparenza, che non offre appigli all’analisi critica, mentre si mantiene indifferente alle più ardite speculazioni. Il suo pensiero galoppa all’unisono con un cuore che assurdamente freme per un fatto compiuto, acquisito, irrimediabile. Ma il suo caso non si può liquidare come un semplice esempio di patetica ottusità. La sua passione racchiude, in un romantico sussulto di onnipotenza, il dramma dell’intera umanità, che trascorre la vita a lottare contro un nemico invincibile. La limitatezza della nostra visione è tutt’uno con la nostra piccolezza di creature emotive, e con la grandezza delle nostre proiezioni ideali. Volere (e dovere) essere figli, padri, mariti, amanti, intellettuali, combattenti, riduce la nostra figura ad un collage dai contorni sfumati. Un profilo sfuggente per chi, ritenendo di conoscerci bene, ci guarda dalla sua selettiva angolazione. Ed un autentico rebus per chi vorrebbe studiarci come animali sociali, individui pensanti, e fabbri del destino del mondo. La scoperta dell’alba, romanzo di Walter Veltroni e film di Susanna Nicchiarelli, getta un barlume di luce nuova ed acuta nella nebbia che offusca l’attuale panorama politico e mediatico della nostra povera Italia. L’impotenza, per una volta, alza intelligentemente la testa e dimostra il suo genio ribelle, professando con grazia la propria ignoranza.
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