Regia di Hal Ashby vedi scheda film
“Bisogna coltivare il nostro giardino”, è la conclusione a cui giunge il Candido di Voltaire al termine delle sue peregrinazioni, ed è proprio da lì che parte Chance, questo Candido dei nostri tempi: il giardinaggio è l’unica sua attività, e quando gli viene tolta la possibilità di praticarlo diventa anche il suo unico argomento di conversazione (peccato solo che in italiano il cognome Giardiniere suoni forzato, a differenza dell’inglese Gardener). La sua forza è la totale indifferenza al male del mondo. Non ha un passato, non ha mai lasciato tracce di sé, non sa neanche leggere, ma solo un’anziana domestica nera sa la verità su di lui: gli altri lo conoscono nella versione passata in tv, che lo rende famoso. Forse diventerà presidente degli Stati Uniti (se ci è riuscito persino Bush jr, perché lui no?). Ashby non commette l’errore in cui poi cadrà un mediocre mestierante come Zemeckis in Forrest Gump: non cerca di far sembrare simpatico il suo protagonista, né di rappresentarlo come un genio inconsapevole. Frasi di desolante banalità come “Il vecchio è morto e Louise se n’è andata”, “La mia casa è stata chiusa”, “Finché le radici non sono recise andrà tutto bene”, “Mi piace guardare” non significano nulla più di ciò che sembra: sono i furbi, vissuti, smaliziati Melvyn Douglas, Jack Warden e Shirley MacLaine a vederci chissà cosa; sono quelli come noi, capaci di abboccare a tutto. Occhio ai titoli di coda: i nomi di alcuni dei personaggi minori sono seguiti da perifrasi, a volte buffe, che illustrano la loro funzione all’interno della storia (che è poi la stessa cosa che facciamo quando non ricordiamo i personaggi: “quello che fa...”, “quello che dice...”).
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