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Grandi speranze

Regia di Mike Newell vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Grandi speranze

di alan smithee
6 stelle

Sembra di dire cosa scontata, ma di fronte ad un originale "made in David Lean" è una battaglia persa cercare anche solo di poter eguagliarne il risultato finale. Una lotta impari ma non impossibile pur se raffrontata a certe altre opere del grande regista, che qui affronta un romanzo rocambolesco e sin improbabile nel suo concitato svolgimento, tutto sorprese e colpi di scena dovuti principalmente al fatto che il romanzo in origine nacque come un racconto a puntate, e come tale necessitante di colpi di scena "comandati" per invogliare il lettore a proseguire la lettura "a stati avanzamento".
Tutto ciò per raccontarci le vicissitudini che accompagnano una fortuna piovuta quasi a caso ad un ragazzo povero e orfano che si trova nel posto giusto al momento giusto, come sottolinea la fantastica scena d'apertura, dai toni quasi horror. L'ascesa verso un ceto sociale altrimenti irraggiungibile da parte di un povero giovane proletario, per scoprire un mondo che in realtà si dimostra fatuo e inconsistente, sciocco e frivolo oltre che improduttivo e parassita. Ma anche una storia che esalta valori come la gratitudine e la riconoscenza, che gioca con i casi più beffardi del destino, sui complotti e le macchinazioni più elaborate in un turbine narrativo incalzante e quasi eccessivo.
Un'impresa dunque non impossibile da rivisitare oggi per un Mike Newell regista d'esperienza, versatilità e una certa predilezione per l'ambientazione in costume. Newell uomo di cinema senza confini, ma la cui multiforme predisposizione per i generi più disparati non è sempre una sicurezza di perfezione e brillantezza di risultati (se si eccettua il caso dell'impeccabile riuscitissimo Donnie Brasco).
Qui tuttavia, nonostante lo stile ricordi troppo le manierate e sofisticate atmosfere da Harry Potter (che Newell ben conosce), il regista si fa forte di un cast che, specialmente nei ruoli di contorno (Helena Bonham Carter su tutti, che ormai e' la quintessenza del film in costume sin dai tempi ormai lontani del meraviglioso "Camera con vista", ma pure Ralph Fiennes, Jason Fleming, Robbie Coltrane e Sally Hawkings) supera nettamente quello dell'originale datato '48; e anche quando gli interpreti attuali non possono essere all'altezza degli originali (Jeremy Irvine, volenteroso e caruccio, potrà mai essere anche solo una copia sbiadita del grandissimo John Mills? certo che no), lo sono quanto a credibilità e realismo, se di questo ci può ancora importare qualcosa (infatti l'allora quarantenne Mills che interpreta, di per sé magnificamente con le sue mossette ed espressioni ironiche - che Irvine manco si sogna col suo candore disarmante - un imberbe diciottenne fa un po' (sor)ridere o semina sospetti anche nel meno smaliziato degli spettatori).
Eppure è Lean a vincere nettamente il confronto, inevitabile ed essenziale a questo punto.
Basti pensare a quell'efficacissimo incipit crepuscolare in cui dalle pagine del libro una voce monotòna e irreprensibile annuncia con insistenza l'origine del nome "Pip" e ci trasporta nei pressi di un tetro cimitero di campagna circondato da alberi irsuti e nodosi inquietanti quanto mostri crudeli, per preferire l'originale al piu' compassato remake di oggi: un prodotto dignitosissimo quest'ultimo, corretto e ben interpretato, come già detto, ma in sé un po' freddo e senza quella ironica ingenuità che trasuda dagli sguardi del John Mills più ispirato, e del suo effemminato compagno di avventure interpretato da un quasi giovane Alec Guinnes. Insomma un confronto dignitoso e non così impari come potrebbe sembrare, ma inevitabilmente tutto a favore dell'originale in bianco e nero di uno dei più grandi maestri del colossal di tutti i tempi.

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