Regia di Daniel Espinosa vedi scheda film
In una delle solite diatribe che si sviluppano intorno alle cose del cinema a lungo si è parlato della presunta autorialità di Tony Scott, fratello minore, anche in termini artistici, del più celebrato Ridley. La discussione si irrigidiva sulle peculiarità di un regista accusato di rappresentare la parte più edonista di un periodo cinematografico che a cavallo degli anni 80 traduceva in immagini i muscoli della politica reganiana. Vent'anni dopo Daniel Espinosa sembra dar ragione a chi gli aveva riconosciuto un linguaggio personale realizzando un prodotto che dell'autore di Top Gun adotta le caratteristiche di un cinema votato ad una dimensione di potenza e di spettacolarità. Un paragone certamente favorito dalla presenza di Denzel Washington, attore feticcio di Scott, ma concretamente riscontrabile tanto nelle tematiche, quello dell'uomo solo contro tutti, quanto nella forma, seppure edulcorata rispetto alla forte stilizzazione che da sempre accompagna le sue opere. Oltre a questo ed ancora in stretta connessione tra i due registi il contrasto tra le possibilità di uno strumento cinematografico che non conosce limiti in fatto di possibilità visive e che nel caso di questo film esibisce una straordinaria capacità di rendere le scene degli inseguimenti a piedi e su quattro ruote, ed il feroce pessimismo riscontrabile nelle scelta di una storia che alla fine non fa vincere nessuno, neanche il giovane agente Matt Weston (Ryan Reynolds)incaricato della custodia temporanea Tobin Frost (Denzel Washington) ex agente della CIA convertitosi al commercio illegale di informazioni riservate. Quando un commando fa irruzione nella safe house nel tentativo di catturare il prigioniero i due sono costretti a solidarizzare per cercare di salvare la pelle.
Riassunto in questa maniera il film sembrerebbe un buddy movie, più o meno spettacolare, con i due protagonisti impegnati a scansare una serie di pericoli che gli permettono di mettere in mostra un talento soprattutto fisico. Ed invece seppur occupato per buona parte da scontri fisici ed armati, safe House è anche un film di performance recitative quando attraverso Weston e Frost sono chiamati a fornire la loro versione dei fatti in un confronto di filosofie, il primo idealista e costruttivo, il secondo pragmatico e pessimista, che ne metterà in luce insospettabili somiglianze. Sono loro, soprattutto Washington in un ruolo, quello del cattivo maestro, che si colora di sfumature esistenziali rese credibili dal carisma dell'attore (la foggia dei vestiti e taglio di capelli ricordano rimandano all'interpretazione di Malcon X) ed una regia dinamica ma non isterica a sopperire ai punti deboli di una sceneggiatura che in certi passaggi pecca di verosimiglianza, e nel doppio finale anche di coraggio, nel tentativo di cancellare in parte il pessimismo di un film che non avrebbe avuto bisogno di ulteriori conclusioni.
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