Regia di Manuel Giliberti vedi scheda film
La Sicilia e le sue donne, in quasi mille anni di storia. Una terra si guarda dentro l’anima, per scoprire il suo cuore di carne. È una fiamma accesa in un corpo femminile, carico di desideri, di peccato, di dolore. Manuel Giliberti lo ritrae in quattro racconti incastonati nella tradizionale cornice di un narratore nostalgico e folle di rimpianti: un uomo ricco e nobile che dal padre ha ereditato un fanatismo devozionale in cui lo spirito popolare incontra l’orgoglio di casta dell’aristocrazia. Il duchino cammina, lungo l’interminabile percorso di un immaginario pellegrinaggio verso Gerusalemme, e intanto parla, omaggiando il passato e le sue leggende: un girotondo in un mondo di sante, regine, prostitute, madri, vedove, adultere, in cui il mito è un discorso perfettamente calato nella realtà e formulato in un linguaggio veramente universale. Un patrimonio di ricordi divenuti immortali, e capace, con la forza della sua autenticità, di alimentare i sogni della gente di tutte le epoche. Per riportarlo in vita, il cinema invita il teatro delle emozioni a proclamare la sua poesia senza tempo, che unisce l’imperatrice Costanza d’Altavilla, una modella del Caravaggio, una nobildonna caduta in disgrazia e la statua di un patrona nel canto di mille voci imploranti, che chiedono salvezza e felicità, o anche solo un po’ di giustizia. Le donne sono, in tante forme diverse, le ombre pensanti dei potenti. Sono loro a dirigere le danze, soffrendo in silenzio. Pregano, si confessano, fuggono o si nascondono, per non rubare la scena agli uomini, mentre, in segreto, coltivano la magia nera che decide i loro destini. Sono assassine o vittime, tiranne oppure martiri, ma in ogni ruolo sacrificano una parte di sé sull’altare del mistero che si fa beffe della distinzione tra bene e male. A dispetto di tutto, restano, anche nella povertà e nella morte, padrone assolute della loro condizione, che maledicono ma accettano coraggiosamente, perché è unico il piedistallo da cui ci si tuffa nell’inferno o si vola in paradiso. Questa singolare agiografia muliebre innalza agli onori del cielo ogni errore o debolezza del gentil sesso, vedendovi una genuina manifestazione di quella sensualità primordiale che non conosce le perversioni – tipicamente maschili – della sete di potere o di denaro, perché ciò che vuole proviene soltanto dagli impulsi naturali, dall’istinto riproduttivo, dall’amore materno, dalla pura e semplice gioia di vivere. L’eros, sacro o profano che sia, è scolpito nella materia vivente, sotto le vesti lacere della miseria o i preziosi abiti della regalità. La femminilità prescinde dall’apparenza, perché è un fatto genetico, che interpreta la bontà e la cattiveria come i connotati sanguigni e sospiranti del sapere stare al mondo. Un milione di giorni ci porge questa verità attraverso la raffinata rusticità dell’atmosfera pirandelliana, che leviga le asperità della cultura agreste riconsegnandocele come cimeli di saggezza e trofei di resistenza al male di vivere. L’essere donna è la somma di tutte le prove da cui può scaturire l’eroismo, quello invisibile, praticato nella quotidianità, o quello splendente, celebrato dall’arte e dalla religione. Come a dire che la trasfigurazione, con o senza la luce della gloria, è sempre e comunque Bellezza.
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