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The Gerber Syndrome - Il contagio

Regia di Maxi Dejoie vedi scheda film

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La recensione su The Gerber Syndrome - Il contagio

di maghella
8 stelle

 «The Gerber Syndrome: il contagio», primo lungometraggio di Maxi Dejoie, che utilizza la tecnica del falso documentario per raccontare l'inizio di una epidemia mortale che sta infettando tutto il mondo.

Una troupe televisiva decide di riprendere e seguire tre personaggi direttamente interessati alla vicenda: un medico, una paziente infettata e un vigilante del nuovo reparto di controllo e sicurezza che è stato attivato dal dipartimento sanitario per l'emergenza dell'epidemia.

Il film illustra le caratteristiche del virus, in modo professionale e davvero molto credibile. La pericolosità della malattia è data dal fatto che in una prima fase appare come una semplice influenza, quindi viene facilmente sottovalutata, in una seconda fase il soggetto ammalato è colto da aggressività e perde la memoria e le facoltà cognitive, nella terza ed ultima fase anche se si continua a camminare l'infetto non  è più in grado di provvedere a sé stesso alimentandosi, e l'aggressività verso altri soggetti aumenta in modo molto pericoloso.

La cosa che rende molto più pericoloso questo virus in confronto ad altri è il modo in cui si trasmette: con un semplice graffio, un bacio si può rimanere infettati. Cure efficaci non ne esistono.

Il dipartimento sanitario ha previsto un centro di controllo e sorveglianza e recupero di infetti che è molto discutibile.

Luigi, uno dei tre protagonisti che la troupe decide di seguire ed intervistare è appunto uno di queste nuove figure per il «recupero di infetti», con un furgone e una attrezzatura adeguata batte le strade di Torino (la città dove è ambientato il film) per catturare come un accalappiacani le persone ammalate, per poi portarle in un centro e metterle in una non bene decifrata quarantena.

Melissa, la ragazza rimasta infettata a seguito di una aggressione, manifesta subito tutti i sintomi della sindrome di Gerber, i genitori disperati decidono di intraprendere una cura ancora in fase di sperimentazione con effetti collaterali terribili e in parte sconosciuti.

Il dott. Ricardi è il medico testimone di tutto questo, che lucidamente illustra i sintomi della sindrome, ma che sa che difficilmente ci potranno essere soluzioni efficaci, e alla domanda da parte del padre di Melissa: «tu cosa faresti?», lui sinceramente non sa cosa rispondere.

Il finale è terribile e senza speranza, e anche io rimango senza risposte davanti a simili domande: cosa si farebbe in una situazione del genere?

Il film utilizza un metodo narrativo, quello del mockumentary, già visto e in qualche modo inflazionato nel cinema degli ultimi anni. Quello che mi ha convinto in maniera positiva sono state le buone scelte tecniche e di regia, l'uso di intervallare piccole interviste con le storie dei tre protagonisti ha alleggerito la narrazione.

La buona documentazione da parte del regista, che ha ovviamente anche scritto, sceneggiato e montato il film, hanno permesso una credibilità della storia davvero ottima. Dejoie si è informato molto grazie anche all'aiuto di due medici, una virologa e una infettivologa, su cause ed effetti di varie epidemie esistenti, la sindrome di Gerber ovviamente non esiste (a me era pure venuto un dubbio, ma perché sono credulona) ed è l'insieme «fantasioso» di tanti virus mortali e non che ben si conoscono (malaria, HIV, peste, ecc.).
Convincente anche il metodo di recitazione che è stato utilizzato per il lavoro: pochi copioni scritti, tranne che per le parti che ne avevano indubbia necessità, molto studio e preparazione delle scene che hanno poi permesso una buona sicurezza nella parte recitativa finale.
Quindi molta improvvisazione che ha permesso anche a persone come Luigi Piluso, che fa appunto la parte di Luigi «l'accalappia infetti», di recitare per la prima volta in modo naturale e davvero convincente (mi viene da dire molto più di molti professionisti).

La parte che risulta più «forzata» nel racconto è quella dedicata a Melissa, sembra infatti improbabile che una famiglia che sta attraversando un momento tanto tragico e intimo si lasci riprendere da una troupe televisiva, ma nel complesso, proprio grazie alle capacità registiche e alla buona recitazione e al montaggio di tutto il film, si accetta un compromesso narrativo più «debole».

Ancora una volta sono rimasta colpita positivamente da un film italiano horror, a basso costo, praticamente invisibile sul grande schermo (a favore di pellicole straniere simili e decisamente di qualità inferiore), che è diventato un piccolo cult tra gli appassionati del genere grazie al «passaparola» e ad una distribuzione in dvd.

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