Regia di Scott Speer vedi scheda film
Numero 4 per la saga Step up, serie da 500 milioni di dollari, titolo sotto il quale non si celano continuità narrative di sorta, ma solo l’eterno ritorno di uno schema antico marchiato a fuoco con un brand, unico fattore distintivo nel cumulo contemporaneo di film del genere. Ovvero il teen movie incentrato sulla danza, con le sue ovvie traiettorie reiterate: trama elementare, ennesima variazione sul tema di Romeo e Giulietta, un usuale conflitto di classe atto ad agitare le acque stantie e una risoluzione (sentimentale e sociale) raggiunta tramite il linguaggio universale del ballo, capace di dire più d’ogni discorso. Amen. Inutile ripeterlo: unica ragion d’essere di questi prodotti (dalla regia tesa tra il découpage della soap opera nei momenti di stasi e la grammatica del videoclip a inseguire il movimento, la sceneggiatura malamente ciclostilata, la recitazione canina, i dialoghi romantici ed epici come forma di tortura) sono le virtuosistiche coreografie, l’impatto spettacolare del dimenarsi dei corpi sul grande schermo nella profondità pretesa dalle 3 dimensioni, l’educazione e il corso di aggiornamento, per lo spettatore, sulle tendenze della danza contemporanea. Qui si introduce l’elemento flash mob, forma collettiva di spettacolo come gesto sociale militante e politico all’epoca di YouTube. Non poco per un pubblico implicito di adolescenti imbottiti di reality Tv. Il resto, purtroppo, è agonia.
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