IL CINEMA AI TEMPI DELLA QUARANTENA
Augusto Valle (Renato Pozzetto) è un ereditiere lombardo di una industria che non sa né vuole realmente gestire, dato che lui è un semplice, un ingenuo, un sognatore... o semplicemente un matto, per come la pensa chi lo conosce bene.
Amante della natura, ecologista convinto, appassionato di uccelli, l'uomo si fa irretire da una procace operaia (la statuaria Angelica Ippolito) che finisce per sposarlo per mero interesse, cercando subito di approfittarne e di internarlo come interdetto presso una casa di cura per malati mentali. Ivi conosce la stupenda Serafina (una incantevole Dalila Di Lazzaro dalla bellezza abbagliante), anche lei figli ribelle di un magnate delle armi, internata dopo aver messo più volte in imbarazzo il padre dinanzi ai suoi primari clienti.
I due troveranno la forza di unirsi e, attratti anche fisicamente l'un l'altro, riusciranno a farsi finalmente sentire, reagendo ai molti soprusi ricevuti.
Dal romanzo omonimo di Giuseppe Berto, Alberto Lattuada traspone una sorta di favola ecologica moderna che punta molto sulla comicità surreale del suo ottimo, trasognato protagonista, che risulta perfetto impersonato da renato Pozzetto. Il film appare riuscito soprattutto nella prima grottesca parte, contornata di siparietti piuttosto divertenti, ove, tra gli altri interpreti, figura anche Gino Bramieri, protagonista di alcuni gustosi schetch.
La seconda parte non regge il confronto, un po' prolissa, un po' troppo retorica, se non proprio consolatoria, se non fosse per la bellezza senza precedenti della Di Lazzaro, davvero una delle più folgoranti bellezze anni '70, e non solo nell'ambito del panorama italiano, ma direi senza dubbio a tutto tondo.
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