Regia di Alfonso Cuarón vedi scheda film
'Gravity' è il primo film di fantascienza ad essere premiato con l'Oscar per la miglior regia (corredata da altri sei, meritati) ma cosa i membri dell'AMPAS hanno visto di così grande in siffatta opera, puro sfoggio di tecnica ed effetti speciali strabilianti ma priva dello spessore filosofico di '2001: Odissea nello spazio' del sommo Kubrick, all'epoca premiato con il 'contentino' della statuetta degli effetti speciali, negandogli quella, per me doverosa, per la sperimentale regia, e tantomeno dello sguardo distopico di Ridley Scott in 'Blade Runner', pellicola ancor più ignorata dagli stessi.
A 600 km dalla Terra, durante una missione spaziale, la navicella su cui viaggiano la dottoressa Ryan Stone (Sandra Bullock), ingegnere per la prima volta nello spazio, l'astronauta all'ultima missione Matt Kowalsky (un logorroico, al limite del sopportabile, George Clooney) e il collega Shariff (Paul Sharma) vengono colpiti da dei detriti: quest'ultimo e gli altri membri dell'equipaggio muoiono subito mentre, poco dopo, anche l'esperto Kowalsky dovrà sacrificarsi per consentire alla donna un disperato tentativo di porsi in salvo.
Inizia qui una vera e propria 'odissea' per la donna che, tra mille insidie, tenterà un ritorno sul nostro pianeta.
Alfonso Cuaròn ha impiegato ben sette anni - 'I figli degli uomini', suo film precedente, è del 2006 - per la realizzazione della sua Space Opera ed i risultati dal punta di vista della resa in immagini e del sonoro sono sbalorditivi, con la macchina da presa che compie evoluzioni al limite dell'incredibile - strepitoso il piano sequenza dell'incipit della durata di circa dodici minuti - e mostra, complice un'altrettanto splendida fotografia di Emmanuel Lubezki, alcune inquadrature mozzafiato, sia della Terra vista dallo spazio, sia degli astronauti, in pratica dei puntini nell'immensità del cosmo.
Ma la perizia nella messa in scena non si può dire che sia stata accompagnata da eguale bravura sul piano dello sviluppo della trama, che presenta troppe inverosimiglianze, e delle psicologie dei due personaggi.
Il soggetto parte da un presupposto credibile - un incidente causato da un imprevisto in una missione - ma il suo incedere è caratterizzato da una miriade di incongruenze che paiono troppo azzardate persino per un film di fantascienza, dove ovviamente è chiaro sin dall'inizio che non tutto ciò che si vede corrisponda o avvicini la realtà, ma nemmeno possa allontanarsi così tanto.
Per quanto riguarda il cast infine, se l'astronauta quasi in pensione di un George Clooney che gioca a fare il piacione più del solito raggiunge livelli di insostenibilità tali da far si che la sua 'poetica' sparizione nell'ignoto spazio profondo sia accolta con sollievo, per l'ingegnere Ryan - i genitori volevano un maschio - interpretato da una pur volitiva e caparbia Sandra Bullock possiamo dire che si tratta di uno dei personaggi più fortunati della storia del cinema tout court: non ha esperienza in missioni spaziali, viene sbattuta a destra e a manca, colpita da detriti presenta un'unica escoriazione sulla guancia destra, pilota le navicelle con l'aiuto di manualetti e premendo pulsanti a caso e alla fine raggiunge il suo obiettivo! Per far cose del genere quindi, stando alla filosofia di Cuaròn, basterà avere unicamente un gran culo e, sinceramente, non si può dire che la Bullock non ne sia sprovvista...
Voto: 6.
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