Regia di Alfonso Cuarón vedi scheda film
Se non quantomeno inconsueto, Gravity è un film fuori da questo mondo. Dal mondo demente del blockbuster smisurato, che annacqua la tensione in una marea di minuti insulsi ed inutili, che inonda l’immagine di effetti speciali privi di una logica ragionevole che non sia l’ostentazione di una magniloquenza visiva e tecnica espressione dell’infallibilità del computer al servizio del genio umano. Del thriller senza scopo, del dramma con troppe lacrime, della fantascienza che non ha più senso di questi tempi. Gravity è la risposta del cinema-cinema, quello vero, che sa narrare, immaginare, disegnare, creare, che non pone limiti allo spettatore, che non blocca la fruizione dietro il trionfo del perfezionismo tecnologico.
’ora e mezza scarsa del film del ritrovato Alfonso Cuaron non vale un’unghia dei recenti, costosissimi, esagerati film(oni/acci) americani degli ultimi decenni, è esperienza visiva e narrativa lontana dall’arroganza e dalla superficialità: un film umanissimo e universale de facto, quasi essenziale pur nell’artificiosità della sua messinscena, combinazione portentosa di avventura e tragedia, placido al primo impatto e all’improvviso devastante per l’impotenza dell’uomo al cospetto della violenza ingestibile dei detriti, dei frammenti delle opere più sproporzionate. Gravity è la lotta per la sopravvivenza, è il naufragio delle nostre speranze di dominio sull’ignoto spazio profondo. Cuaron non ha bisogno di tempi tendenti all’infinito per trasmettere tutto ciò che vuole dire su un tema che meriterebbe secoli di discussione (forse fine a se stessa), concentra ogni cosa all’essenza di tutto e all'immensità del nulla con lo spettacolare talento dell’autore totale (regista, sceneggiatore, produttore, montatore). E Sandra Bullock è magistrale nel travaglio sconfinato della sua sofferenza. Il miglior film americano dell’anno, basta.
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