Regia di Alfonso Cuarón vedi scheda film
Solo guardandolo, ed a mio avviso ne vale davvero la pena, si può capire come mai sia trascorso così tanto tempo tra questo film ed il penultimo lavoro di Alfonso Cuaron (“I figli degli uomini” datato 2006).
Come lui stesso ha detto in svariate interviste, le tecnologie che gli hanno permesso di concepire, e dar vita, ad uno spettacolo del genere sono di nuovissima concezione ed i risultati lo (e ci) ripagano ampiamente (e sempre per quanto da lui detto adesso ha voglia di dirigere qualcosa di più immediato e leggero, ci credo).
Ryan Stone (Sandra Bullock) è alla sua prima missione nello spazio assieme al ben più navigato Matt Kowalski (George Clooney) quando, trovandosi all’esterno della loro postazione, vengono investiti da un nugolo di detriti che compromettono la missione e devastono lo shuttle ponendoli in una situazione di estremo pericolo.
I contatti con la Terra sono interrotti e si trovano dispersi nello spazio, con poco ossigeno e poche alternative per salvarsi, ma faranno di tutto per far ritorno a casa.
Non mi capitava da tempo di provare un’empatia simile con un personaggio come è avvenuto in questo caso con Ryan Stone (una Sandra Bullock insospettabile e pertinente).
L’inizio ci catapulta con essenzialità estrema nel vivo della vicenda, le immagini ci fanno subito sentire a fianco a loro nello spazio con pochi appigli e quel pianeta Terra che pare sempre lì ad un tiro di schioppo, ma in realtà sono lontani sia da esso che dalla soluzione del loro (enorme) problema.
Un film, e con esso una storia, che ti toglie il fiato, quasi mancasse anche allo spettatore ossigeno, una vera e propria sbornia di assenza di gravità, con movimenti che nel loro essere difficilmente gestibili assumono caratteristiche uniche (impossibile per me fare paragoni con altri film del passato).
Ed il 3D appare strumento raramente invasivo (pochi oggetti ci arrivano tra capo e collo), e soprattutto necessario per donare un maestoso senso di profondità (ed infinito), insomma risulta organico in tutto e per tutto alle (meravigliose) immagini che vediamo.
Certo poi lo spirito di fondo prevede gioco forza alcune dinamiche un po’ “casuali” (ed un’improbabilità dettata da una serie di accadimenti in serie), ma non mancano nemmeno scelte inattese (per questo aspetto vedasi il personaggio di George Clooney) che sembrano a volte dei clichè (come la visione di Ryan del collega ad un passo dalla morte), ed a volte lo sono proprio, ma comunque vivamente funzionali alla riuscita dell’opera.
Non mancano nemmeno simboli, e movimenti, fortemente metaforici ed il finale, con l’ultimo pericolo ed una nuova condizione ambientale, riportano anche noi alla realtà dopo novanta minuti trascorsi, tutt’altro che spensierati, in un’altra dimensione.
Opera quindi che mi ha convinto, e coinvolto, fino in fondo, salvo qualche eccesso narrativo che comunque rende più avvincente tutta la storia (e che quindi in ogni caso non denigro), e così l’asticella delle esperienze cinematografiche viene spostata un (bel) passo più in là.
“Houston abbiamo un problema”, fortunatamente noi abbiamo visto solo un film dannatamente affascinante e coinvolgente, un’esperienza da provare (seduti su di una poltroncina ovviamente).
Spaziale.
Un lavoro tecnicamente magistrale, da far palpitare anche le pupille, con qualche leggerezza narrativa è vero, ma quando un regista riesce ad offrire un'esperienza di tale portata non può che essere premiato ed apprezzato (almeno da chi in un'esperienza si è visto trascinare).
Mi è spesso stata simpatica (anche se da qui a giudicarla brava ce ne passa), ma in questa circostanza offre una prova di grande maturità ed abnegazione al di là di ogni aspettativa.
Forte di un personaggio importante riesce a far risaltare sensazioni ed emozioni tostissime.
Molto brava, siamo in zona Oscar?
Spero di sì.
Personaggio caratterizzato dalle sue qualità/attitudini comunicative e comportamentali.
Funziona decisamente bene anche se il campo è dominato, per forza di cose, dalla sua controparte femminile.
Bravo.
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