Regia di Alfonso Cuarón vedi scheda film
Nel corso della sua storia il cinema di fantascienza si è divertito a spiazzare lo spettatore con racconti che sotto la cornice avventurosa e spettacolare nascondevano significati più profondi ed importanti, spesso legati ai moti nascosti dell'inconscio e dell'animo umano. In questi occasioni capitava che lo Spazio interstellare da cornice scenica diventasse nel contempo un contenitore in cui prendevano forma le angosce e le paure dell'intera umanità. Ecco allora che la storia sviluppata sullo schermo si arricchiva di una duplice lettura: da una parte continuavano a far vetrina come sempre la meraviglia e l'avventura legata agli incontri del "terzo tipo"; da un'altra, inneffabile ma presente, si faceva largo una sensazione di coinvolgimento e riconoscibilità derivata dall'identificazione con una progressione dei fatti che finiva per coincidere con le linee d'ombra e la darkness attraverso cui qualsiasi esistenza umana, quindi anche la nostra, prima o poi deve passare per definirsi ed evolversi. Sulle prime la storia della dottoressa Ryan Stone (SandraBullock) e del comandante Matt Kowalsky (George Clooney) membri dell'equipaggio di in missione spaziale sopra l'orbita terrestre sembrava quanto di più lontano e particolare potesse esserci rispetto ad un comune excursus esistenziale. Eppure, complice un incidente che distruggerà l'astronave spaziale costringendo i due protagonisti ad una difficile procedura di salvataggio presso una stazione satellitare più o meno lontana, "Gravity" diventa con il passare dei minuti non solo la cronaca di un'anabasi complicata dal fatto di svolgersi con mezzi di fortuna ed in un territorio sconosciuto, ma anche il paradigma di una nuova nascita, modellato sulle peculiarità di un campione rappresentativo come quello della dottoressa Stone, madre ancor prima che donna, sprofondata in un limbo di dolore per la morte della figlia di quattro anni di cui non riesce a darsi pace.
Partendo dalla sicurezze delle possibilità finanziarie e dalla grandiosità di effetti speciali enfatizzati dall'utilizzo di un 3D mai come questa volta efficace nell'aiutare una resa visiva che fa sembrare del tutto verosimile l'integrazione tra paesaggio e figure umane, Alfonso Cuaron compie il miracolo di tenere alta tensione ed immedesimazione, immergendo lo schermo in un oceano di oscurità, con i corpi e le facce degli attori, peraltro deformate dalla "tenuta da lavoro", in primo piano o in campo lungo, ed i dialoghi scarni ed essenziali, più simili a soliloqui che a scambi di battute. Il regista messicano ci riesce evitando di appesantire la visione con la solita retorica di simboli e metafore. Sotto i rifettori, e per tutto il tempo, rimangono i tentativi e le peripezie da ultimo minuto dei due naufraghi, ma a lavorare ai fianchi ci pensano di tanto in tanto le soggettive sugli sconfinati orizzonti della galassia accompagnate da canzoncine amichevoli e nostalgiche, oppure certe immagini significative, come quella che ad un certo punto riproduce la dottoressa Stone in posizione fetale e con un tubo attaccato alla pancia che sembra collegarla ad un utero immaginario - e con la gravità all'interno dell'abitacolo a riprodurre una sorta di liquido amniotico - anticipando quella "rinascita" che di li a poco trasformerà il suo atteggiamento negativo e remissivo in una voglia di esserci e di combattere. Per non dire della sequenza finale che non sveliamo per opportuni motivi, ma che porta a compimento, e conferma, il sottotesto esistenziale ed universale della vicenda.
Film d'apertura dell'ultimo Festival di Venezia "Gravity" conferma la maturazione di un regista che sembra aver trovato il modo di rinfrescare il genere in questione arricchendolo con un overdose d'umanità (pensiamo alla struggente storia di salvezza e palingenesi de "I figli degli uomini",2006) che in qualche modo riesce a compensare la perfezione asettica e fredda dell'apparato tecnologico e produttivo del cinema blockbuster. E se George Clooney non sposta di una virgola il livello di simpatia e carisma di cui è da sempre portatore, a sorprenderci è invece Sandra Bullock, calata alla perfezione in un ruolo che mette insieme prestanza fisica e qualità recitative, silenzi e prese di posizione, per tratteggiare con sensibilità e determinazione la tipologia di una femminilità che ci permettiamo di augurare all'intera umanità.
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