Regia di Alfonso Cuarón vedi scheda film
Insieme a Sandra Bullock e George Clooney ci siamo anche noi nello spazio. Possiamo vedere quello che vedono loro, provare quello che provano loro. Perenne senso di vertigine. Costante sensazione di trovarsi sull’orlo dell’abisso. L’uomo stagliato su uno sfondo incommensurabile. Un puntino (bianco) che a mala pena riusciamo a scorgere nella vastità illimitata di un manto nero impenetrabile. A fungere da faro è la nostra Terra, il pianeta azzurro, sfera di cristallina lucentezza e di abbacinante bellezza, meravigliosa da togliere il fiato vista da lassù, attraverso i loro occhi, sguardi privilegiati, che noi gente comune possiamo solo sognare, magari immaginare. Non concepiamo lo spazio. Non nella sua totalità, non nella sua sostanza. Nel concreto, sappiamo poco o nulla riguardo l’espressione ‘viaggiare nello spazio’, far parte di esso, essere immersi nelle sue arcane profondità, fluttuarvi dentro come un feto nel suo liquido amniotico, vorticare all’infinito come piume trasportate dal vento. Un termine di paragone, forse l’unico possibile, l’unico comprensibile per chi è sempre rimasto ‘con i piedi per terra’ potrebbe venirci dal mare (o dall’oceano), incanto della natura che quotidianamente si rinnova sotto i nostri occhi, la potenza straordinaria e micidiale delle sue acque, delle correnti che lo percorrono, del suo magnetismo respingente.
L’astronauta è come un uomo che si tuffa in mare.
Diventa tutt’uno con esso; privo di gravità galleggia sospeso tra le onde, si lascia sedurre dalle morbide carezze che a ritmi regolari dispensa. La tensione si allenta, i rumori cessano. Tutt’intorno è meraviglia a perdita d’occhio. Tutto intorno è puro silenzio.
L’astronauta è come un naufrago.
Perduto in mare aperto si trova prigioniero di quelle stesse acque che in altre occasioni gli hanno trasmesso un assoluto, totalizzante senso di libertà. Annaspa sballottato, incapace di raggiungere un approdo, di colmare la distanza che lo separa dalla terraferma, in balìa di quel che lo circonda, che lo avvolge, che lo comprende. Totalmente impotente alla furia degli elementi può soltanto assecondarne l’impeto, tentare di non farsi inghiottire da spirali fatali, stritolare tra invisibili pareti della consistenza del piombo. Di non soccombere sotto un cielo che d’improvviso fa sentire tutto il suo peso schiacciante. Di non lasciarsi sopraffare.
Cinema essenziale. Spettacolare, asciutto, teso, coinvolgente, commovente, empatico. Perfetto.
Splendida metafora dell’esistenza umana. Quando tutto sembra perduto, quando la speranza si è spenta, quando tutto intorno è morto, e dentro moriamo anche noi, quando l’unica-ultima cosa che resta da fare è accettare il proprio destino, guardarlo negli occhi e dichiarare la resa, ecco risvegliarsi, inaspettato, il guerriero che giace negli oscuri anfratti del nostro spirito. Fa fondo a tutte le risorse di cui disponiamo e di quelle che credevamo non vi fosse più traccia, si arma di ingegno lucidità e iniziativa, si nutre di rinnovato coraggio e và…….combatte, ha paura, insiste, resiste. E infine vince.
Il naufrago astronauta scorge la riva, le nuota incontro, la raggiunge, esausto ma intero. Ancora vivo.
Quanta forza può sprigionare un puntino, una nullità nell’immensità dell’universo
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