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Il grande Gatsby 3D

Regia di Baz Luhrmann vedi scheda film

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La recensione su Il grande Gatsby 3D

di M Valdemar
6 stelle

Baz, l’orgia del potere (eccedere, osare, adornare, adulterare, sfondare le statiche mura della convenzionalità).
Oltrepassare limiti (r)aggirandone paletti, recinzioni, porte d’accesso (e recesso), inferriate poste a protezione del sacro impero cinematografico (e, prima ancora, letterario).
Baz Luhrmann non sa (o non vuole, o non può) tenere a freno il proprio immaginifico modo di concepire l’esperienza filmica, per lui “totalizzante” ed estrema, anche nella banale riproduzione delle miserie umane travestite da opulente noncuranti marionette del frenetico marcescente mondo "moderno".
Il tuttopieno sgargiante strafico stereoscopico, all’ennesima esplosione di fuochi d’artificio, all’ennesimo fragore di ultrasuoni figli imbastarditi di una moltitudine informe deforme di note aliene (tra loro), all’ennesimo violento colorato carnevale di anime addobbate a festa - per essere concisi, quasi subito annoia, stufa. Distrae.
L'anfetaminica ricerca della meraviglia, le abbondanti pennellate che rivelano la fauna rigogliosa e lussureggiante, il senso esagerato e incontrollabile per barocchismi, virtuosismi, divismi: frullati per virtù e necessità, sono la cifra distintiva del regista australiano. Armi di distrazione di massa, dunque; ma anche alimento per l’autocompiacimento.
Stato che non è, per fortuna, perpetuo.
Appena gli strati glamour iniziano a sciogliersi sotto l’implacabile glaciale crescendo della tragedia, del disvelamento della personalità enigmatica impenetrabile di Gatsby, della vera natura della luce, ebbene, la storia prende corpo, le girandole emozionali implodono in tormentosi laceranti vortici di sogni e (dis)illusioni, e la parola (del grande Francis Scott Fitzgerald) prende il sopravvento.
Anziché il regista stesso, il protagonista diviene, finalmente, Gatsby. E Baz stupisce, non con i suoi sfacciati estenuanti effetti estetici e sonori, ma proprio perché riesce a toccare le corde giuste, ponendo al centro tutta la fragilità e la complessità dell’uomo - attraverso le intrusioni e testimonianze del “narratore per caso” Nick Carraway - con un respiro ampio, profondo, rigoroso.
Acquisiscono così rilievo anche le folli rombanti corse in auto, le riprese ardite, le pose maliarde, le feste selvagge.
Ritraendo Gatsby come un’abbagliante seducente star, Baz Luhrmann ne svela poco a poco e con sapienza gli anfratti della coscienza, i chiaroscuri che ne illuminano/oscurano azioni, reazioni e relazioni, la corruzione insita che cela però un incorruttibile enorme senso per la speranza e l’amore.
Come definire altrimenti quel momento, infinito, in cui le labbra di Gatsby, colpito a morte, sussurrano il nome dell’amata?
E, prima che un volo all’indietro disegni la sua letale traiettoria funerea, prima che il liquido vermiglio insozzi le candide vesti, prima che pensieri bui si trasformino in consapevolezza della propria fine, gli occhi blu di Di Caprio (in una sola parola: perfetto) abbracciano lo sconfinato tumultuoso oceano che è l’animo umano.









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