Regia di Giorgio Capitani vedi scheda film
Capitani ha diretto di tutto, nella sua infinita carriera (esordisce neppure trentenne a metà anni Cinquanta e a quasi novant'anni ancora gira lavori per la tv), ma di western questa è l'unica traccia. Più western, che spaghetti, nonostante la fortunata moda di quegli anni: di sparatorie vere e proprie ce ne sono due, la violenza è pressochè bandita, di sangue non c'è ombra e la sceneggiatura di Augusto Caminito e del grande Fernando Di Leo gioca prevalentemente sulle psicologie, piuttosto che sulle azioni dei personaggi. In ciò il lavoro è encomiabile e costituisce in fin dei conti una sorta di parabola sull'inguaribile avidità umana, oltre che sull'impossibilità di fidarsi del proprio prossimo (qualcosa di assolutamente anti-evangelico, insomma); la lunga sezione centrale della pellicola poi assume le bizzarre e inquietanti sembianze di un 'kammespiel da miniera', con quattro interpreti in stretti spazi alle prese con instabili dinamiche interrelazionali ed emotive. A dire il vero c'è anche qualcosa (e più che qualcosa) che nel film non va, a partire dall'esordio blando (anche se l'arrivo in paese di Kinski promette tantissimo: ma mantiene pochissimo) e senza tacere del finale frettoloso; ma non si può negare per lo meno che le scelte di casting siano state felicissime, nell'assemblare un poker di interpreti come quello formato da Van Hefling (Oscar negli anni Quaranta, qui alla sua unica partecipazione in un western italiano), George Hilton, Klaus Kinski (nei panni del solito alienato, sopra le righe e quasi muto) e Gilbert Roland. Non male anche la colonna sonora di Carlo Rustichelli, dignitosissimo commento senza temi memorabili, altro punto a favore del western e a sfavore dello spaghetti. 5/10.
Un cercatore d'oro corre a svuotare una miniera insieme a tre uomini fidati. Ma sbaglia a fidarsi.
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