Regia di Chris Marker, Alain Resnais vedi scheda film
Non è molto noto in Italia questo documentario, della durata di mezzora, a firma Chris Marker e Alain Resnais: eppure si tratta di un reperto di notevole importanza cinematografica, foss’anche solo per gli autori. Ma ovviamente, trattandosi di due talenti di questo calibro, i contenuti del lavoro non mancano di incuriosire, quando non stupire: Les statues meurent aussi è un viaggio nell’arte africana che esplora quanto rimane oggi di secoli di creazioni, statue, maschere, manufatti per raccontare da una parte l’enorme potenziale culturale del continente nero e dall’altra, per antitesi, la violenza della colonizzazione europea, che ha spazzato via con grave ignoranza la gran parte di questa cultura a lei lontana. Nel corso del documentario, però, vediamo che questa lontananza è in realtà meno ampia di quanto si possa credere: in una sequenza suggestiva vengono mostrate alcune maschere africane e paragonate con l’arte antica romana, ma anche con quella indiana o giapponese, e le somiglianze finiscono per essere schiaccianti. Oltre a essere uno dei primi lavori per i due futuri grandi registi, lo è anche per il direttore della fotografia Ghislain Cloquet, futuro collaboratore in varie opere sia di Resnais che di Bresson; il commento fuori campo è letto dalla voce dell’attore Jean Negroni, che avrà poi lo stesso incarico per quello che è il più noto lavoro di Marker, ovvero La jetèe (1962). 6,5/10.
Viaggio nell'arte africana, fra secoli di cultura dimenticati o sminuti della loro importanza storica nel nome di un colonialismo europeo spietato e - fondamentalmente - ignorante.
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