Regia di Tonino Cervi vedi scheda film
Primo e unico western di Tonino Cervi, in seguito apprezzato regista di vari generi che trova il successo nel dittico moliériano con Alberto Sordi. Scritto anche da Dario Argento, il film annovera un cast che un giorno avrebbe dato molto al genere: Bud Spencer, William Berger e Montgomery Ford al secolo Brett Halsey, amico di Clint Eastwood. Proprio quest’ultimo gli disse di andare in Italia, memore del successo leoniano, ma Ford/Halsey non ebbe lo stesso successo dell’amico. In questo film si avvisano le bizzarie e le atipicità del western all’italiana. Non tanto nella struttura narrativa che invece celebra un motivo tra i più affascinanti del vecchio West, ovvero il reclutamento di alcuni uomini, quasi sempre dei poco di buono, per una missione pericolosa, a volte pure illegale. É successo anche con “Un Esercito di Cinque Uomini”, guarda caso interpretato ancora da Bud Spencer e scritto di nuovo da Dario Argento; è successo con “Ammazzali Tutti e Torna Solo”, con “Una Ragione Per Vivere e Una Per Morire”, ed era successo oltreoceano con “I Magnifici Sette” e “Quella Sporca Dozzina”, ognuno con le sue varianti. Ma anche qui, nel film di Cervi, Montgomery Ford recluta Spencer, Berger, Wayde Preston e Vic Gazzarra per trovare El Fego, colpevole della morte della moglie e della sua ingiusta prigionia. Questo bandito è l’attore giapponese Tatsuya Nakadai (direttamente da “Yosjimbo”), perfetto villain sopra le righe che non fa rimpiangere nessun volto tipico di questi ruoli. É ossessivo compulsivo, spietato e anche un po’ folle, pazzo, allucinato. Kinski sarebbe stato l’unico capace si sostituirlo. Un cattivo borderline, confermato dalla sua morte, dalle sue ultime pose prima di morire: anche davanti alla fine preserva un’originalità dei gesti e delle espressioni che lo rendono il miglior personaggio del film. Bud Spencer arriva dal successo di “Dio Perdona... Io No!”. Quello di Cervi è il suo terzo film e lo si vede dall’ancora incedere timido, ma almeno lo vediamo cavalcare un cavallo che non s’è rifiutato di caricarselo sopra. Ha comunque una presenza scenica unica. L’attore napoletano ha un’innata irriverenza del gesto che in futuro sarebbe stata poi la sua cifra caratteriale di riconoscimento, che oleò poi bene anche la coppia Spencer-Hill. Questo suo approccio sornione al mondo, e ai fatti anche di sangue, lo rende un personaggio nuovo, che sì ripercorre i caratteri dell’omone solitario, burbero e cinico, ma che aggiunge una mise personale originale che nessun altro avrà oltre a Bud Spencer. Nel cast c’è anche Jeff Cameron, attore americano in seguito reclutato più volte da Demofilo Fidani. Attore spaghetti di serie B è qui invece un luogotenente di El Fego carismatico e misurato. Forse uno dei suoi ruoli migliori.
Il film non sarà un capolavoro, per alcune lungaggini pseudo-leoniane, a cui manca la forza visiva che diventa poi immagine mitica. C’è però un uso nuovo degli esterni. Preferendo una boscaglia per tutta la seconda parte del film si evidenzia l’intento, forse partorito da Dario Argento, di ricreare l’atmosfera estraniante e pure orrorifica delle favole. Un ambiente aperto, ma allo stesso tempo chiuso, claustrofobico, che se non è notturno è crepuscolare o albeggiante. Ritorna così il mito del locus aemenus, crocevia di misteri, morti e incontri pericolosi. La dimensione fiabesca di questa fase finale del film è delimitata anche dai segni, che non sono quelli delle sparatorie a viso aperto e delle cavalcate nel deserto, ma bensì agguati, anche all’arma bianca, e fatti a piedi nel silenzio del sottobosco. Oltre questi segni non si va, e il film acquista un valore “altro” che fa il paio con la rarefazione delle prime scene pseudo-leoniane, a cui manca, s’è detto la forza mitica, ma che riescono ugualmente a restituire allo spettatore presagi neri, autunnali, definitivi. Un’inserto in bianco e nero, come in “Tre Croci per Non Morire”, fa del flashback una pratica italiana per dare al film, comunque un western, un’anima da mystery, da giallo o da gotico. Accadeva anche in “Per Qualche Dollaro in Più”, con Peter Lee Lawrence al suo debutto western. La resa è qui però quella di un film patinato, e se non fosse per Tatsuya Nakadai questa anoressi troppo letteraria per il cinema sarebbe stata inutile e controproducente per il film.
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