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Odio implacabile

Regia di Edward Dmytryk vedi scheda film

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La recensione su Odio implacabile

di Baliverna
8 stelle

E' un buon dramma sul problema dei reduci di ritorno dalla guerra, che hanno il corpo incolume ma la mente e l'interiorità traumatizzati dalle brutture che hanno visto e operato. Il tema centrale è forse quello - come bene coglie questa volta il titolo italiano - del razzismo, quello estremo, dove il razzista prova odio viscerale per una determinata categoria di persone. Nella fattispecie si tratta di odio antisemita, ma la sceneggiatura spazia (nel racconto del commissario) sull'odio in generale, diretto verso questa o quella razza, religione o etnia. Si sa, infatti, che negli Stati Uniti è serpeggiato, e lo fa forse ancora, il razzismo verso negri, ebrei, e cattolici. Il film mette abbastanza bene a fuoco questa terribile realtà dell'odio preventivo e pregiudiziale, che facilmente può diventare omicida. Non sono molto d'accordo, tuttavia, sulla spiegazione che viene data, che è quella classica del fatto che certe persone odiano qualcuno perché è diverso. Il problema sta secondo me nella persona che odia, la quale semplicemente ha un cuore cattivo che ha desiderio di odiare, ed è quasi di secondaria importanza la categoria che prende poi di mira. Togligli gli ebrei, ed odierà qualcun'altro.
Il personaggio del fanatico antisemita è bene interpretata da Robert Ryan, che dà corpo ad un uomo divorato da un odio scomposto per gli ebrei, e persino per coloro che li rispettano. E' quasi un isterico, in preda ad una forza incontrollabile. Tutti gli altri attori fanno bene la loro parte, e dipingono un quadro a fosche tinte di persone disadattate e confuse, sconquassate da una guerra che continueranno a portarsi dentro. Ho trovato riusciti anche certi personaggi secondari come la ragazza del night-club e l'uomo disperatamente innamorato di lei.
Edward Dmytryk evita bene tutte le trappole di un soggetto come questo, cioè il didascalismo, il tono predicatorio e la retorica. Il messaggio è chiaro di per sé, perché affidato ai fatti. Lo sfogo del commissario sta in questo difficile e fragile equilibrio, forse perché si limita a narrare efficaci aneddoti, ed evita i proclami generali.
La sigla italiana dell'epoca cerca sfruttare la notorierà di Robert Mitchum facendolo figurare primo attore protagonista, quando in realtà ha una parte piuttosto secondaria.

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