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Oci Ciornie

Regia di Nikita Mikhalkov vedi scheda film

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Stefano L

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La recensione su Oci Ciornie

di Stefano L
8 stelle

 

"Oci Ciornie" è un corso di eventi in salsa agrodolce di un signore di mezza età dallo sguardo triste e con il viso spossato (Marcello Mastroianni): è il 1912 e si trova su un transatlantico in compagnia di un coetaneo straniero (Vsevolod Larionov). Non avendo entrambi particolarmente a cuore la meta, i due cominciano a parlare della loro vita, colma di delusioni d’amore e decisioni sbagliate, nonché di vecchie fiamme i cui ricordi vengono permeati da una vampata di nostalgia e cruda amarezza. Romano (Mastroianni) descrive più precisamente lo stato d'animo deturpato che otto anni prima l’aveva legato passionalmente ad una donna sovietica di nome Anna (Elena Safonova, tanto impacciata quanto attraente), dagli occhi neri ed il volto angelico, conosciuta nel centro di benessere ove alloggiava a causa di un problema alle gambe, motivo per cui era costretto a disgiungersi per un breve periodo dall’immensa magione della ricchissima moglie (la cui famiglia ha sempre snobbato i comportamenti esuberanti e le modeste origini del genero). Dopo l’affannato allontanamento, di cui ne restava solo un'indecifrabile lettera d'addio, l'uomo è addirittura disposto a raggiungerla nella sua terra natia, pianificando un falso accordo che dovrebbe inaugurare l'apertura di una fabbrica di vetri all’estero; ed è qui che inizia la parte in Russia in cui la memoria diventa labile, le immagini sono filtrate da riverberi onirici e dilatazioni temporali, dagli echi felliniani e l’afflato anfrattuoso. Le affascinanti sequenze cariche di lancinante pathos visivo raccontano gli aneddoti e le reminiscenze. La disinvoltura ed il carisma con cui il protagonista trasporta le masse e gli attori è incredibile, specie nella chimerica ed incantevole scena dove si mette a danzare e cantare allegramente assieme al gruppo di zingari alle prime luci del mattino: Nikita Mikhalkov, ispirato da Cechov, si alterna in due mondi, dai climi e le atmosfere diversificate, i quali serbano degli elementi di persistente rifrazione nella suggestiva intelaiatura storica. La componente drammaturgica sciorina un gioco di specchi, un continuo richiamo a rappresentazioni che restituiscono emozioni, plasmano ricordi, e si tramutano in altre percezioni. Le dissolvenze stemperano le tonalità del paesaggio agreste, mischiandosi agli accordi vocali ed i suoni congeniti dell'ambiente circostante... questo prodotto non va considerato necessariamente come una pellicola romantica né un lungometraggio sui dilemmi del passato che riaffiorano durante la maturità, ma è un bel film in costume girato in enormi tenute ottocentesche, stazioni ferroviarie, ed estese aree bucoliche, il quale non sottrae il suo anèlito poetico a favore della sontuosità del contesto; il regista riesce ad intrigare lo spettatore grazie alla complessità misteriosa delle vicende, condite magistralmente dalle musiche di Francis Lai, ed illustrate dalla fotografia ardente di Franco Di Giacomo. Il finale struggente, non del tutto rivelativo, ne completa magnificamente l’opera.  

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