Regia di Michael Powell vedi scheda film
Prototipo sui serial killer ossessionati dalle immagini di morte e, pertanto, anticipatore di tanto (triste) cinema futuro orientato al genere (finto) snuff.
I morbosi esperimenti del biologo Lewis sul piccolo figlio Mark hanno effetti irreversibili sulla mente del ragazzo. Da grande Mark lavora nell'ambiente cinematografico occupandosi di fotografie e riprese. Ma, oltre ad essere un abile tecnico delle immagini, purtroppo è anche irrimediabilmente malato: e niente sarebbe la tendenza alla scopofilia, in gergo medico, più nota volgarmente come "voyeurismo" che sarebbe l'insana mania di guardare di nascosto. Niente al confronto delle pulsioni di morte che lo inducono a riprendere prima, durante e dopo (spingendosi dai rinvenimenti dei corpi alle indagini della polizia) momenti di morte. Eccitato dai volti terrorizzati delle vittime, Mark ha installato una baionetta sulla camera da presa ed uno specchietto deformante, per infondere alla vittima di turno ancor più spavento vedendosi riflessa in viso nel momento fatale. Le azioni di morte di Mark sono apparentemente interrotte da momenti di positive pulsioni d'affetto, rivolto ad una curiosa (e innamorata) vicina di casa.
L'anno prima della realizzazione del celebre Psycho, il cineasta britannico Michael Powell porta sullo schermo questo stravagante Peeping Tom, nel quale vengono narrate le folli gesta di un serial killer "guardone", ossessionato (porta sempre a tracolla la cinepresa) dalle immagini in movimento ed eccitato dalle sequenze di morte reale. Al di là del non indifferente aspetto che il film solleva, sul concetto metafilmico che ne è centro narrativo e cuore pulsante, L'occhio che uccide -tra i primi, se non primo in assoluto- finisce per essere un prototipo (ovviamente di finzione) che teorizza sul cinema snuff. Lo fa in maniera nient'affatto commerciale ma piuttosto utilizzando un metodo intimista e personale.
La figura di Mark, così tormentata -perché cosciente del suo agire- dalla sua stessa condizione, viene descritta sì come spietata e crudele (di assassino pur sempre si tratta) ma viene anche compatita come vittima di una mente ancora più folle, quella di un cinico padre che sperimentando con la psiche di Mark, ha generato, oltreché un figlio, pure un mostro.
Lavoro omaggiato e citato ripetutamente, anche in tempi recenti, pur non essendo affatto retorico, eccessivo o esplicito (da ricordare che siamo nel 1959). Forse proprio in virtù dell'imposizione data da una censura potente, l'effetto finale (immaginiamoci all'epoca) doveva essere decisamente impressionante. Ancora oggi, ad esempio, non si scorda l'esposizione del vetro deformante collocato sulla testa della telecamera, e utilizzato da porre in faccia alle ragazze destinate alla morte.
Giustamente, dunque, Mark Lewis è diventato un simbolo del cinema sui serial killer, esattamente quanto (ma stilisticamente forse anche di più) il Norman Bates di Psycho...
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