Regia di Michael Powell vedi scheda film
Dopo averlo visto son convinto che la trilogia di "Scream" ha un prologo molto datato: "L'Occhio che Uccide" di Powell, 1960. La riflessione/provocazione sull'arte cinematografica, che sconfina nella scopofilia, nel vouyerismo, per essere sviluppata a mo' di thriller angosciante, con richiami a Hichtcock, èassoluta. E se il Mark Lewis assassino del film fosse il cinema? Si spiegherebbe il ruolo della settima arte. E se fosse invece lo spettatore? Si capirebbero ancora molte altre cose. Emblematiche son le due battute che si scambiano il protagonista e la sua ragazza a metà film, quando lui "deve" proiettare i suoi film, e lei "vuole" vederli. Da entrambe le parti, cinema e spettatore, c'è la consapevolezza di non saper resistere. C'è, come dire, la voglia di un suicidio. E' come lasciarsi andare al piacere dei sensi, è irrefrebabile! Sia per il cinema sia per chi lo guarda.
Ma non si esaurisce tutto qui. Il film è pieno di giochi cinematografici come per esempio l'irruzione dello stesso regista (in un certo senso l'accusato) che brevemente appare come il padre del protagonista, ovvero l'artefice di tutta la follia del figlio, nonchè paradigma perfetto del manipolatore cinematografico: affascinante e pericoloso. Oppure, nel gioco che Mark Lewis architetta per far ritrovare il suo secondo cadavere sul set cinematografico. Questo non solo è cinema nel cinema (l'uccisione per via cinematografica sul set), ma è cinema nel cinema nel cinema! Perchè il delitto avviene per mezzo della filtrazione dalla macchina da presa, sul set di un film, spacciandolo per tale, e viene poi rappresentato sotto i riflettori e le riprese di un vero film, mentre l'assassino riprende una nuova rappresentazione. Questo gioco di specchi, di rimandi e controrimandi, è la complessa arte del cinema che rispecchia la vita, la stravolge, la riprende, e a sua volta la vita riprende il cinema, lo rispecchia, lo stravolge.
La sensazione panica che si ha a fine film è assoluta: mai un film era riuscito così tanto a confondermi, e a confondere arte e vita, o io meglio direi...a confondere la vita-che-si-vede con la vita-che-non-si-vede. Un fondamentale per chi vuole capire cosa sia il cinema, anche interrogandosi non poco sul piacere di guardare, e di realizzarci, capirci, tradurci, in ciò che guardiamo.
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