Regia di Michael Powell vedi scheda film
Mark è un cameraman soddisfatto nel lavoro, solitario e schivo; figlio di un illustre dottore, è un personaggio al di sopra di ogni sospetto, almeno fino a quando un'attrice con cui stava lavorando viene trovata uccisa. La polizia e un bizzarro psichiatra si mettono a indagare proprio su di lui, che nel frattempo stringe una relazione con Helen, la giovane vicina di casa.
Peeping Tom, il guardone, il voyeur: è questo il titolo originale della pellicola e senza dubbio si tratta di un titolo largamente più sensato e incisivo del vacuo L'occhio che uccide, peraltro sbagliato anche come spoiler dato che l'assassino non uccide esattamente con gli occhi – anzi. Ma vabè, siamo nel 1960 ed è già tanto che un film dai contenuti vagamente scabrosi e sessualmente pruriginosi come questo venga importato in Italia; la storia del cameraman Mark è opera di Leo Marks e viene messa in scena dall'esperto Michael Powell con la debita perizia, ma anche con una vasta serie di approssimazioni e pressappochismi che inchiodano inequivocabilmente l'opera alla sua era. Il trattamento riservato all'approccio psicologico dei personaggi – fondamentale nella trama – e ai risvolti nevrotici che ne scaturiscono, è in pratica spesso risibile; la ciliegina sulla torta è rappresentata dalla figura dello psichiatra mezzo matto che sta sostanzialmente lì a dimostrare che lo studio della follia umana è contagioso, porta sempre e soltanto alla follia. Un concetto oggi antiquato, se non proprio ridicolo, ma sul quale bisogna sorvolare data l'età del film; film che per il resto funziona discretamente bene, con un buon ritmo e una serie di caratterizzazioni abbastanza efficaci. Powell non è Hitchcock, ma la tensione è mantenuta alta per tutti e cento i minuti di durata della pellicola; interpreti principali: Carl Boehm, Anna Massey, Maxine Audley (la madre cieca, il personaggio più debole e didascalico del gruppo), Moira Shearer e Jack Watson. 6/10.
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