Regia di John Huston vedi scheda film
“1944, da qualche parte nel sud del Pacifico”: un marine alla deriva su un gommone sbarca su un’isoletta abitata solo da una suora rimasta lì dopo la morte del missionario che accompagnava. Huston dirige un faccia a faccia fra due personaggi che popolano la scena quasi in esclusiva, a parte le presenze collettive dei giapponesi che disturbano l’idillio e dei nostri liberatori che arrivano alla fine. Mitchum e la Kerr forniscono due grandi prove attoriali, calandosi perfettamente nei rispettivi ruoli: lui la chiama sempre “signora” e lei “signor Allison”, come da titolo originale (frase peraltro assente nell’edizione italiana); appartengono a due mondi diversi, reciprocamente estranei, ma la convivenza forzata crea un cameratismo che si evolve in timida attrazione, finché il sake scioglie i freni inibitori e fa dire cose di cui poi ci si pente (“La mia solita fortuna: se deve fare la monaca, perché non è racchia e vecchia? perché doveva avere quegli occhi scuri e un bel sorriso e le lentiggini?”). Prima però c’era stata la tenerissima e goffissima scena della proposta di matrimonio: “Quando torna a casa, signora, non lo faccia, la prego: non faccia quei cosi, quelli solenni. Io non ho mai amato niente e nessuno fino ad ora; neanche ho vissuto finora. [...] Voglio pensare a lei, non soltanto qui ma per tutta la vita” (sembra proprio di leggere la fiaba di Perrault: “Bella, volete sposarmi? “No, Bestia”). Un film prezioso; un melodramma autentico, vibrante, su un amore istituzionalmente impossibile: una di quelle storie che raramente la Hollywood classica ha osato raccontare.
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