Regia di Raoul Walsh vedi scheda film
«1. Combattiamo per la sopravvivenza come nazione; 2. Noi stiamo combattendo contro una controrivoluzione che cerca di spazzar via tutti i progressi che l'uomo ha fatto nella lotta contro la tirannide cominciata nel 1776; 3. Noi stiamo lottando per le 4 libertà: la libertà di religione e di parola, la libertà dal bisogno e dalla paura. Perché siano preservate per noi, dobbiamo preservarle per tutti.» Così comincia la Sezione I, significativamente intitolata Why We Fight, del Government Information Manual for the Motion Picture Industry (in sostanza un Manuale di propaganda) diramato nel 1942 all'industria cinematografica dall'Office of War Information, appositamente costituito dal presidente Roosevelt. Il Manuale contiene tutte le regole per la realizzazione di validi ed efficaci film sulla guerra in corso nel Pacifico e, successivamente (a partire dallo sbarco in Sicilia), in Europa. Sono presi in considerazione tutti gli aspetti che emergono durante il racconto di un film bellico: le ragioni per cui si combatte, il nemico, il capo, l'eroe, lo spirito di corpo, come mostrare i morti e i feriti, come descrivere gli alleati e così via. Alcuni di questi aspetti - lo sottolinea bene Giuliana Muscio nel suo saggio Hollywood va in guerra, all'interno della Storia del cinema mondiale di Gian Piero Brunetta - sono validi ancora oggi, mentre altri sono ormai desueti. Del resto, lo stesso Manuale fu modificato nel corso del tempo, particolarmente con l'evolversi della guerra in favore degli Alleati, tanto che, se in un primo momento l'accento era stato posto sul contro cosa combattiamo, in un secondo tempo si dette importanza al per che cosa combattiamo e di quale pace ci sarà bisogno dopo la vittoria. Gli aspetti indicati nel Manuale dell'OWI sono tutti presenti nel film di Walsh, un professionista di tale bravura da riuscire a far coesistere questi elementi d'obbligo in una struttura di film avvincente ed emotivamente coinvolgente.
Un capitano paterno (assai efficace, qui, l'interpretazione di Errol Flynn, l'imboscato per eccellenza di Hollywood), assolutamente non invadente né primadonna, guida una squadra di paracadutisti all'interno del territorio birmano, per distruggere una stazione radar giapponese, in vista di un attacco alleato in grande stile. L'obiettivo è raggiunto con relativa facilità, ma il ritorno alla base sarà una marcia pericolosissima all'interno della giungla birmana, a metà tra l'Anabasi di Senofonte e il ricordo della Pattuglia sperduta (1934) di John Ford. I nemici sono astuti e crudeli e del resto così doveva essere: anche il Manuale sottolinea che noi stiamo dalla parte giusta e loro dalla parte sbagliata.
Nella descrizione del plotone americano si tiene conto del melting pot che era l'esercito statunitense, formato soprattutto da non professionisti (il capitano Nelson è un architetto del Maine, ma c'è anche un soldato d'origine italiana, interpretato da Anthony Caruso, fifone al momento del lancio col paracadute), ma anche dell'importanza degli alleati: ed infatti della spedizione fanno parte due Gurkha indiani ed un ufficiale dell'esercito cinese. E tuttavia, nonostante le minuziose prescrizioni del Manuale di propaganda, il film riuscì a scontentare l'alleato britannico, di cui non si fa menzione, mentre la sua presenza era storica e preponderante in Birmania.
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