Regia di Angelina Jolie vedi scheda film
L’esordio alla regia di Angelina Jolie non poteva essere diverso: da un’attrice di Hollywood da sempre impegnata in cause umanitarie non ci si poteva aspettare altro che un moderno melodramma d’amore e di guerra, incentrato sulla sofferenza femminile, di madri, mogli, amanti. Il recente conflitto nei Balcani fa da sfondo alla tormentata vicenda sentimentale tra Ajla, una giovane pittrice bosniaca di fede musulmana, e Danijel, un ufficiale dell’esercito serbo. Un romanzo incentrato sulla più classica delle tragedie, alla quale non vuole rispettosamente aggiungere nulla: per questo motivo rinuncia alla riflessione morale, per puntare tutto sull’instabilità e sull’immediatezza delle emozioni. Anche l’approfondimento psicologico risulta incompiuto, e i caratteri dei personaggi appaiono indefiniti – e quindi, forse, tali da possedere connotati universali - mentre il rapporto tra i due protagonisti assume le sembianze di un legame impalpabile, inequivocabilmente presente ma impossibile da analizzare con argomenti razionali. Contrariamente a quanto polemicamente rilevato da una parte del pubblico americano, questo non è un film politico: il tenore del racconto è troppo dimesso e trattenuto per poter offrire lo spunto ad un dibattito. In questa storia gli autori dei genocidi sono i cattivi, però non ci sono i buoni: ci sono, inevitabilmente le loro vittime, ma, da una parte e dall’altra, mancano del tutto gli eroi. Non c’è materia a sufficienza per una presa di posizione. E nemmeno per capire se quell’amore sia vero o finto, giusto o sbagliato. Il responso deve per forza rimanere sospeso, come si addice alle questioni fondamentali che si pongono nei momenti in cui l’umanità è in crisi. Per narrarle, non si può fare a meno di assumere un determinato punto di vista, ma ci si può astenere dal giudicare il modo in cui essa vengono affrontate da chi ne è direttamente coinvolto. Una scelta dettata dalla prudenza o dall’ingenuità: difficile è, in questo caso, individuare esattamente l’origine di un approccio che, pur rivelando una sincera passione per la problematica, si arresta in superficie. Ciononostante riesce a mantenere, dal primo all’ultimo istante, un buon livello di tensione, ancorato all’incertezza e allo sconcerto provocati dall’inimmaginabile escalation della violenza in un contesto inizialmente pacifico. In the Land of Blood and Honey parla dei fatti che accadono all’improvviso, e senza un perché, e che diventano paradossali se inseriti in un quadro di generale caos, quando gli eventi creano inspiegabili divisioni e pericoli mortali. In un istante si compiono i destini, e la capacità di decidere va in tilt, innescando svolte inaspettate. Occorre agire subito e non c’è il tempo di pensare, soprattutto a ciò che si sta provando: forse, in certe situazioni estreme, la realtà è davvero come questo film. O forse, invece, è tutt’altra cosa.
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