Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film
Commedia gotica d’ambientazione contemporanea, l’ultimo film di Ozpetek insegue i fantasmi del teatro, della difficile distinzione tra la verità e la sua rappresentazione all’interno di un gioco di ombre tra passato e presente, tra coincidenze e ossessioni, tra paure e amori.
La guerra e la resistenza tornano ad inquietare l’oggi con le loro reminescenze (La finestra di fronte), la sessualità vaga incerta in cerca della sincerità (Il bagno turco, Le fate ignoranti), la quotidianità si tramuta in romanzesco e l’avventura cancella la ferocia della normalità. In una coerenza autoriale progressiva, Ozpetek continua a sondare i suoi personaggi e ad approfondirli lasciando sullo sfondo il mondo, sempre più permeabile al soprannaturale (il finale di Mine vaganti, il mistero di Cuore sacro) e offuscato dall’alito della morte che impregna costantemente il suo universo, al di là dell’apparenza dilettevole della messinscena o dalla musicalità di sequenze e atmosfere.
Non è dato sapere se il gruppo di teatranti intrappolati in un appartamento di Monteverde sia solo espressione di una fantasticheria esacerbata del protagonista, se la loro consistenza ectoplasmatica sia veritiera come lo è per Pietro, e non serve esserne edotti. In essi lui si specchia, nella trappola del tempo e dello spazio di un’esistenza ingrata, appesantita dalla solitudine dell’incapacità di relazione e alleviata dall’aspirazione attoriale, forse mal riposta.
Elegantemente inarrivabili poiché fissati al glamour degli Anni Quaranta, gli attori della troupe cercano una simile verità esistenziale, la consapevolezza del trapasso e l’aspirazione ad una libertà che non riescono quasi a concepire. Ed essi serviranno a Pietro per crescere, come un amico immaginario, lo accompagnano alla scoperta della finzione scenica e della verità storica, a capire il passato e a saper leggere tra le righe del presente.
Pietro non ne esce completo, ma indirizzato verso alcune consapevolezze che si compiono in un lieto fine accennato. Mentre li guarda esibirsi sul palco del loro stesso appartamento, sul viso dell’attore in erba scorrono intensità ed emozioni, il riflesso di sentimenti forse provati o almeno simulati, l’espressione di una felicità intuita quanto di una follia esplosa nella schizofrenia di chi si vuole e si sente diverso.
Volutamente irrisolto ad immagine del suo personaggio, il film è una coreografia di memorie e di desideri che ambiscono alla concretezza, spesso persa per distrazione dal protagonista, perfettamente recitata da un cast variopinto e registrata con voluta leggerezza dal regista, attento al rischio della retorica e del messaggio, che si concede divagazioni e parentesi con evidente divertimento. Col rischio, ben calcolato, di smarrire la retta via della orditura della sceneggiatura per perdersi nella propria curiosità verso la vita.
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