Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film
"Questi fantasmi" sono sbarcati nella Roma d'oggi, ma loro non ne hanno idea, la loro epoca e' ben piu' remota, e li vede impegnati ad andare in scena nella loro ultima rappresentazione, proprio in quell'attimo magico e terribile in cui l'attore deve vincere la tensione dell'imminente prova, l'ennesima interpretazione che pero' nasconde ogni volta le sue incognite, i suoi rischi, e per questo crea anche nell'interprete piu' scafato tensione come e piu' della "prima". Ma quel giorno qualcosa ando' storto, qualcuno irruppe prepotentemente nei camerini...il gruppo si vide costretto a fuggire...qualcuno li tradì...era il 1943 e i nazisti stavano rastrellando il teatro alla ricerca di sospetti cospiratori.
Questa anticipazione e' a mio giudizio doverosa, altrimenti l'inizio dell'ultimo buon film di Ferzan Ozpetek puo', se raccontato per come inizia realmente, essere superficialmente frainteso e scambiato erroneamente per il film horror che assolutamente non e': tutto inizia in una vecchia affascinante casa d'epoca, semi abbandonata e da sistemare, dalla quale tutti gli inquilini scappano senza un comprensibile motivo; finche' arriva il giovane pasticciere (specializzato in brioches....) che sogna il cinema e ne rimane affascinato. Almeno fino a quando scopre che il vecchio alloggio e' infestato delle anime di una "famiglia" di fantasmi, uniti in vita da una compagnia teatrale piuttosto famosa, che li impegnava in una tourné di successo. In mezzo problemi sentimentali, solitudini, insicurezze, colori e personaggi di contorno buffi, disinvolti e sopra le righe, tipici di uno stile "alla ozpetek" che abbiamo imparato da anni ad ammirare come una caratteristica autoriale che finisce per contrassegnare (e talvolta - ma non mi sembra questo il caso - rischia di limitare) i registi piu' carismatici, di un loro tocco inconfondibile e distintivo.
Riconosco in questo film delicato, simpatico, talvolta un po' effettato e vagamente macchiettistico nell'affollato via vai di personaggi minori, ma piacevole e profondo nei contenuti basici, le caratteristiche del miglior Ozpetek, quello delle "Fate" e de "La finestra" per intenderci: di quel cineasta che affronta le vicissitudini sentimentali di noi persone comuni, con le nostre speranze, le nostre delusioni ed insicurezze, proiettando tutto cio' su basi storiche e e radici profonde che si collegano, per bizzarri casi del destino, con situazioni ed episodi di altre epoche, ben piu' drammatiche e travagliate delle pur poco allegre nostre contemporaneita'.
Bravi attori italiani (e non) fanno da necessario, imprescindibile corollario ad un Elio Germano meno nervoso ed isterico del solito, piu' fragile e proteso allo stupore, incapace di gestire un rapporto a due, figuriamoci a diventare confidente e complice di un gruppo di fantasmi demodé e fuori tempo massimo.
Un po' di mistero comunque c'e', nonostante il bravo regista faccia di tutto per stemperare i toni nella commedia che tanto gli e' nelle corde. E la chiave della vicenda sta, come spesso purtroppo accade, nel sentimento primario ed istintivo dell'invidia e della gelosia, che finisce per renderci dei mostri spietati in nome di una fama, una gloria che ci si illude possa essere la soluzione definitiva, quando invece la vita scorre veloce e ci riduce come maschere, volti segnati dal tempo inclemente, come quello (piacevole sorpresa) di una ritrovata grande Anna Proclemer.
In tutta questa concitata vicenda Ozpetek non rinuncia ai suoi vezzi, che non sfociano tuttavia mai nel manierismo, e conduce la vicenda con una sicurezza e un taglio registico da cineasta maturo e completo, a cui si affida con devota obbedienza un ispirato cast di ottimi interpreti.
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