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Innocence

Regia di Jan Hrebejk vedi scheda film

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La recensione su Innocence

di OGM
8 stelle

Ci sono uomini destinati a non essere innocenti. Condannati ad espiare le colpe delle donne che li amano nel modo sbagliato. Il dottor Tomas Kotva è  uno di questi. Nella vita si occupa di riabilitazione ortopedica. Lavora in ospedale, soprattutto con i ragazzi. La quattordicenne Olina è una sua paziente, che ha rimesso in piedi dopo una brutta frattura ad una gamba. È rinata nel corpo, e, contemporaneamente, con la fantasia, si è costruita una seconda vita, nella quale si chiama Ariadne ed è l’amante segreta di Tomas. Nella sua mente immagina avventure erotiche i cui dettagli sono affidati, sotto forma di disegni artistici e brani poetici, alle pagine di un diario che tiene nascosto. Quando, sua madre, per caso, lo trova e ne legge il contenuto, scatta, inevitabile, l’indagine di polizia e psicologi: una ricerca minuziosa di prove e controprove, che mette in subbuglio l’esistenza dell’accusato e della sua famiglia. Una famiglia allargata che è come una ferita aperta, e, guardandosi dentro, si scopre divisa da dolori, tradimenti, delusioni. C’è un ex marito a cui, di tanto in tanto, viene affidato il figlio disabile. C’è una figlia che non è stata all’altezza delle aspettative del padre. C’è una cognata affetta da una strana forma di gelosia. Nei profondi solchi scavati dalla disaffezione, il sospetto si insinua facilmente, separando definitivamente i pezzi di un quadro  che già appariva scomposto. Si avverte un languido gusto per il declino nel modo in cui gli individui imboccano volontariamente la deriva dei pensieri solitari, delle ipotesi inconfessabili,  reprimendo la vergogna, per inseguire desideri che infrangono sfacciatamente le regole del mondo. Il pudore è incompatibile con l’infelicità, ed è per questo che, nell’entourage di Tomas, nessuno sembra aver paura di mettersi a nudo. In mezzo al generale disorientamento affettivo, si instaura una sorta di promiscuità delle anime, in cui successo e fallimento, salute e malattia, gioventù e vecchiaia si mescolano inscenando una convenzionale tragicommedia autoconsolatoria. Lida non è diventata un medico,  come avrebbe voluto il suo anziano genitore, ed ha anche abbandonato la sua carriera di attrice teatrale, per vestirsi da clown, armarsi di palloncini colorati e, sulle tracce di Patch Adams, andare a regalare un sorriso alle persone sofferenti. Il suo travestimento, indossato per far dimenticare il dolore - proprio nel luogo in cui ovunque lo si può toccare con mano -  rappresenta anche la maschera di finta allegria a  cui bisogna aggrapparsi per non lasciarsi avvilire dal gioco ipocrita  del tutto per bene. Simulare la tranquillità di una coscienza pulita e la serenità di chi vede chiaro nei propri sentimenti è l’estrema ancora di salvezza per chi affronta il rapporto con gli altri navigando nel mare in tempesta delle proprie insicurezze. Bluffando, ci si offre spregiudicatamente agli occhi degli altri per autodifesa, come per anticipare l’attacco del loro (pre)giudizio. E così ognuno finisce per credere di essere completamente libero di agire, anche quando si tratta di fare del male a coloro che gli stanno accanto. Tomas è la principale vittima di questa paradossale forma di coraggio: qualcuno che lo vuole tutto per sé non esita a spingersi oltre il limite della decenza. La necessità di rivolgere, alla mediocrità della nostra condizione umana, un volto imperturbabile o magari addirittura gioioso, induce in noi la cecità:  per poter andare avanti, nonostante tutto, bisogna infatti ignorare gli ostacoli che limitano il nostro orizzonte. Occorre vedere la normalità nell’anomalia, l’uguaglianza nella diversità, l’evidenza nell’impossibile. Daniel non è affetto da un deficit cognitivo, è un ragazzo come tutti gli altri. Tomas non è, per Lida, il marito di sua sorella. E i sogni di Olina non sono soltanto invenzioni, poiché coincidono con la realtà.  Innocence (Nevinnost) è il ritratto, amaro e crudele, però liricamente ovattato, di un’idea che vive in mezzo agli uomini, impregnando la loro percezione di un’ebbrezza soffusa e straniante: è l’idea di un  regno perfetto in cui non esistono l’errore e il peccato, e in cui ognuno si sente pulito. Un’illusione di breve durata, che finisce per inciampare nella sua ingenua ed ottusa convinzione di non avere nulla da nascondere.

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