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Amnesty

Regia di Buyar Alimani vedi scheda film

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La recensione su Amnesty

di OGM
7 stelle

Lo sguardo è opaco. Rarefatto dalla sporca umidità di quello che si direbbe un eterno autunno.  Le esistenze di Elsa, di Shpetim e dei loro familiari, amici e colleghi si trascinano in luoghi disfatti, appartenenti alle retrovie della realtà: una fonderia in disarmo, il magazzino di una tipografia, la cucina di un ospedale, la sala di attesa di un carcere. Si tira avanti,  in mezzo a tutta quella triste imperfezione, mentre la lavatrice perde acqua, l’usuraio ti aspetta sulle scale,  e intanto fuori piove o nevica. Ognuno resta nella propria sbiadita metà di mondo. Una madre sola col marito in prigione, un uomo solo con la moglie dietro le sbarre. Un pescatore che non si può sposare per povertà, una sposina che aspetta l’amnistia per poter iniziare il suo matrimonio. L’incompletezza è una condizione generale, che non risparmia nessuno, e che tutti cercano di colmare nei modi più banali: consumando di straforo un dolce alla panna, rispolverando una vecchia cornamusa, giocando con una patata da sbucciare. E poi c’è l’espediente più scontato: quello di avere una relazione clandestina, per riempire il tempo e il letto, per creare un’illusione di stabilità. Ma l’intimità non riesce a trovare dimora: non esiste la tranquillità, da nessuna parte, nemmeno negli angoli più remoti e bui, dove sembra di potersi rintanare per sfuggire alla crudeltà degli eventi. Shpetim, in casa sua, è come un’anima pena, sempre inquieta e insoddisfatta. Nemmeno sul lavoro la situazione è serena:  a nulla è servito rinunciare alla consegna dei giornali, e farsi trasferire al servizio interno.  Elsa, dal canto suo, non sa dove andare. È stata licenziata, deve badare a due figli, e col suocero è un continuo litigio. Tra fuggitivi, ci si può incontrare, per caso, ed allora si è costretti a fermarsi, ad attaccare discorso, a restare insieme. È la poco romantica legge della necessità, secondo la quale l’attrazione non è niente altro che l’effetto di una meccanica combinazione di desideri inappagati, di un eros generico e disperato, pronto a posarsi sul primo oggetto a portata di mano. Tragica ed autentica è, in questo caso, la prevedibilità di una storia che non potrebbe essere diversa, perché nata dalla mancanza di forze, di idee, di speranze. Quando si parte già stanchi, ci si abbraccia con noncuranza ma senza slancio, certi che la preda non farà resistenza. La rassegnazione è un collante ben più potente della determinazione. Neanche il film ha bisogno di spendere tante energie, parole o pensieri, per risultare convincente, per persuaderci che a volte la sopravvivenza scivola via così, da sé, senza fatica, su una strada anonima e squallidamente spianata. Persino un evento eccezionale e gioioso come un’amnistia vede presto spegnersi i suoi echi miracolosi, per rientrare nell’ordinaria amministrazione: è una resa della giustizia che sancisce, semplicemente, il ritorno ad un vecchio ordine malato. Un ordine che, messo temporaneamente di fronte al pericolo di un cambiamento, si è fatto rabbioso e cattivo.  

 

Amnesty ha concorso, per l’Albania, al premio Oscar 2012 per il miglior film straniero. 

 

scena

Amnesty (2011): scena

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