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È nata una star?

Regia di Lucio Pellegrini vedi scheda film

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M Valdemar

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La recensione su È nata una star?

di M Valdemar
2 stelle

Di star d’ascendenza divino-nepotistica non se ne può più.
Qui urge un deciso intervento legislativo/punitivo/spurgante della Lacrimosa per eccellenza: la ministra Fornero.
Che si mandino sui set cinematografici i finanzieri - agenti piangenti, modello Crying Freeman - ad espellere, sanzionare e terrorizzare i figli di, i fratelli di, i dirimpettai del cognato della cugina di.
Dite che non è possibile?
E allora teniamoci la star nascente che manco alla Rinascente lo scambierebbero col dado star.
Il soggetto in questione è Castellitto jr:  aria sp(a)esata/assente/inebetita/tanto-c’è-papà-che-offre-per-tutti sta in scena come fosse in gita scolastica. Non recita (ma che pretese! e dove credi di stare, al cinema?): abbaia/balbetta/incespica le (per fortuna non molte) battute a disposizione. Indispone. Predispone agli inevitabili interrogativi: ci fa? [beh, un minimo di capacità c’è, allora]; ci è? [no comment]; ci abbiamo pure pagato dei soldi per vederlo? [che (con)cime che siamo!].
Per dare il senso delle proporzioni (che sta a tema col film): in un (involontario) lampo di cinema-verità che Béla Tarr nemmeno si sogna, la Littizzetto, appena vede il suddetto sullo schermo di casa nei panni del “Dr. Trombhouse” con perfetta carica espressiva (l’unica di tutta la pellicola) fa:
“ma guarda come recita! Sembra un  cane!”.
Non me lo sono inventato.
Ma, come detto, la stella appena nata (morta) non si vede molto. I veri due protagonisti sono i più vecchi Luciana Littizzetto e Rocco Papaleo, genitori (lei maestra, lui impiegato al Catasto) ch’entrano in crisi alla scoperta che il figlio - che loro stessi giudicano uno senza talento, a cui ripetere come in un mantra sospirante “va bene così" [altro cinema-verità … Tarr ne deve consumare di chilometri di pellicola ...] a ogni tentativo (che sia di studio o altro) fallito - si dedica alla nobile arte della pornografia in quanto superdotato.
E già qui siamo in ambito fantasy: ma dove li trovi ‘sti genitori che non esultano, che non brindano, che non lo sbandierino cafonamente ai quattro venti - magari prendendo a calci chiunque capiti a tiro - se è concessa alla propria prole una porzioncina della tanto benedetta notorietà (con la nemmeno celata speranza di un ritorno economico)?
Non è una famiglia tipo: è un tipo di famiglia in via di estinzione. Ne ha pure parlato Piero Angela nell’ultima puntata di Superquark. Per non parlare della fidanzatina buona samaritana che s’offre volontaria per dare una mano nell’allestimento della recita all’asilo.
Qua si accentuano reazioni, si esagerano azioni, si moltiplicano sventure. Si cerca l’eccesso per ottenere il successo: le risate del pubblico. Ma, a voler essere buoni (ma anche no), al più parte un ghigno, di brevissima durata. Le allusioni (soprattutto all’inizio, quando la madre dolente al supermercato vede forme falliche ovunque) si presentano puntuali, anche se va dato atto (almeno questo) che non sono troppo cariche, ed in generale non si fa leva su volgarità o bassi istinti pruriginosi.
E, d’altro canto, mancano sana cattiveria, vera ironia, umorismo sferzante e “maleducato”. Lo spunto iniziale s’affloscia subito, c’è troppa attenzione a condurre il gioco entro consueti confini della correttezza, della gentilezza, del non offendere nessuno. Il risultato è una commedia molliccia e noiosetta, insipida e mai coinvolgente, collocabile idealmente nei palinsesti dei canali televisivi generalisti come fiction per tutti.
Su tutto grava, poi, la sgradevolissima voce fuori campo di Luciana Littizzetto che accompagna tutto il film: fastidiosa nei toni e nei modi, in quello che dice e come lo dice, comprese le riflessioni “positive” cui giunge nel finale (d’una banalità tale che avrebbe dovuto arrivarci dopo due minuti, ma il film non poteva certo finire subito) che almeno hanno effetto liberatorio.
Fosse solo la voce: lei e il cinema sono due mondi estranei, non si può che constatarlo. Infatti, l’unico momento in cui strappa un sorriso è una reminiscenza del suo repertorio comico televisivo, quando lancia un’occhiataccia al quadro raffigurante l’ex premier a cavallo vinto da una anziana signora alla tombola.
Il solo che ne esce dignitosamente - con mestiere - è Papaleo, ma non è nulla di che, i suoi spalancar occhi e grugnire parole sono cose già viste.
Musiche irritanti - con canzoncine giovanili e fresche (di putrefazione) - e regia anonima completano il misfatto.
Uno starnuto di film.

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